I doni del cervo
Vi narro che tra il quarto e il quinto mese
andavo a caccia, su per la collina,
miravo a prede deboli, indifese,
là dove abbonda sempre selvaggina.
Avrei venduto care, giù in paese,
le loro pelli, merce sopraffina,
ma quando un cervo mi parlò cortese
capii che la mia vita era meschina.
Egli era saggio e nobile e mi disse:
“Basta infilzare daini, uccidi me.
Io sono anziano e mi offro in sacrificio
sperando che ti sia di buon auspicio.
La mia vita sacrifico, affinché
tu comprenda…” Pensai che mi schernisse.
Invece aggiunse: “Buon signore prendi
questi miei palchi… dalle mïe orecchie
tu potrai bere. Sbrigati, mi offendi!
Ti fanno pena prede stanche e vecchie?
Vantiamo in pochi al mondo – ti sorprendi? -
pellicce così morbide, rubecchie
e dalle virtù magiche, m’intendi,
come la mia non ne vedrai parecchie:
se vuoi del pelo ne puoi far pennelli.
Ti dono come specchi, buon signore,
questi occhi miei, più puri di gioielli.
Ho carne stanca, ma che può sfamarti,
e il mio fegato infonderti valore,
quel gran coraggio che saprà guidarti.”
“Tu vuoi sacrificarti?”
Risposi lui. Per non perseverare
deposi l’arco, smisi di cacciare.
(Parafrasi in due sonetti più coda finale della canzone “Il dono del cervo” di Angelo Branduardi, 1976)