Il Bandolo – Dibattito del 28 giugno 2014
Incontro presso il Polmone Pulsante – Roma
1 - Spesso oggi si assiste allo spettacolo di un’arte per iniziati che non parla di umanità, ma si avvita su se stessa in forme capricciose e futili, molto più amanti di sensazionalismo che di verità. Noi vogliamo uscire da queste sabbie mobili, dalle paludi dell’autocompiacimento estetizzante, avviando un salutare processo di umanizzazione dell’arte e della civiltà. L’arte non deve essere il fine dell’artista, strumentalizzando e asservendo l’uomo a quella finalità, ma al contrario, deve essere un mezzo al servizio dell’umanità. Vogliamo un’arte meno vanesia, che si lasci ispirare dai valori autentici dell’uomo, dalla sua essenza, dalla sua universalità.
2 - La mercificazione dell’arte tratta allo stesso modo prodotti scadenti e opere di qualità. È necessario tornare a parlare di opere e a promuoverle per il loro valore intrinseco, umanistico, sostanziale, più che di prodotti che soddisfano l’effimero. L’editore, il gallerista o qualsiasi operatore del sistema di promozione dell’arte, deve essere spinto a soddisfare nuove e alternative domande di mercato che sta ovviamente agli artisti saper orientare con una massiccia e dirompente azione culturale. Il buono, intendiamoci, esiste anche in ciò che viene oggi pubblicato o esposto, ma spesso è confuso con tutto il resto, mentre dovrebbe avere maggiore slancio e visibilità.
3 - Umanesimo, dunque: non quello che schiaccia l’uomo nella propria dimensione orizzontale, rendendolo ostaggio delle proprie sovrastrutture culturali, delle proprie espressioni civili e storiche, bensì quello che lo spinge in avanti, attingendo al suo più intimo mistero. Quell’umanesimo, insomma, che pone il fine dell’uomo nell’essere dell’uomo, nelle pieghe più segrete di se stesso, anziché nelle forme tangibili della costruzione storica. Quell’umanesimo che non ingabbia, non irretisce, non indottrina, ma che spinge con prepotenza verso la libertà.
4 - Il pubblico deve essere aiutato a godere dell’arte, deve poter uscire di casa e partecipare agli eventi proposti da artisti davvero creativi, e ciò è possibile solo uscendo dalla logica frammentaria ed autocelebrativa del mercato. Per questo occorre anche proporre eventi di qualità che non affoghino nella critica erudita. Il pubblico deve trovare la vita in ciò che propongono i nostri eventi, quindi bisogna sperimentare nuove dinamiche promozionali che possano coinvolgere non per i nomi altisonanti di chi partecipa all’evento, ma per una rinata curiosità o anche per il piacere di sentirsi parte del movimento in atto.
5 - Per superare l’impasse del manierismo culturale, le opere dovranno avere sapori di nuovo umanesimo. Non si tratta di rifiutare le scuole, le tradizioni, i retaggi, ma di riconoscere che tutto ciò ha valore puramente propedeutico per colui che sa di dover procedere con i propri mezzi, dando fondo alle proprie risorse e alle proprie facoltà. Un creativo sa di dover essere il maestro di se stesso, promuovendo quella rigenerazione, quel rinnovamento personale – che di riflesso diviene collettivo – fondato sull’esercizio dell’autocritica. E’ questa la strada per affinare conoscenze ed opere, depurandole da ogni impurità. Questa la via per correggere i mali che affliggono il sistema culturale: i morbi del protagonismo e dell’arrivismo sfrenato.
6 - Un movimento di artisti d’ogni disciplina, uniti ed attivi nel senso sopra indicato, può e deve colmare il vuoto di bellezza e di creatività che oggi affligge il sistema dell’arte, accettando un confronto e un aiuto reciproco, mai disgiunto dalla continua ricerca personale, in vista di una promozione comune delle proprie opere, ed in progress di quelle altrui. L’arte, dunque, non più vista come acclamazione di primedonne, ma come partecipazione attiva e significativa alla dinamica che ha portato lo spirito creativo a partorire e ad esporsi in pubblico, suscitando una continuazione dell’evento attraverso il pensiero che si è messo in movimento e che può fecondare nuovi pensieri e nuove dinamiche, portando l’idea a vivere dopo di sé.