I gatti e la ragione
Nelle nostre campagne le notizie girano veloci; gli abitanti sono semplici, vicini, affabili e basta che uno dica una cosa, che in poco tempo la sa tutto il paese. Se poi un fatto è di particolare scalpore e gravità, allora sì che il rumore si fa sentire e la persona portatrice si prende la briga di avvertire personalmente il maggior numero di paesani, perché non vuole perdersi il gusto di riportarla e magari a modo suo.
E fu proprio Giorgio a raccontare di aver trovato due giovani del paese, decapitati in piena macchia, mentre cercava funghi in un sentiero non lontano dal mare.
Marco era il figlio del giornalaio e Stefano dell’impiegato di posta. Il paese era in allarme, si pensava ad un mostro o ad un animale strano che si aggirava per i boschi, tanto che i paesani immaginavano e sognavano ed alla più piccola ombra vedevano giganti e al bar raccontavano le cose più incredibili. D’altronde la fantasia era ancor più debordante, se si pensa che il fatto, come si racconta al nostro paese, sia avvenuto in tempi abbastanza remoti. Si poté riconoscere la piena verità solo più tardi; sì, perché un cacciatore di frodo, detto il monco, aveva assistito ad una scena straordinaria che, per paura di essere coinvolto, non aveva avuto il coraggio di narrare. In seguito, saputosi l’accaduto, ritenne opportuno aiutare l’autorità a scoprire il vero.
I nostri due ragazzi avevano deciso di fare una bella gita al mare, che, se Dio vuole, è tanto vicino al nostro paese, da sentire spesso il profumo delizioso del salmastro o il rumore gonfio nel tempo di burrasca. Marco, ben vestito, preciso, attento ai particolari. Stefano distratto, trascurato, spesso sporco; la madre era ricorsa ad ogni sistema per cambiarne le abitudini, ma mai era riuscita ad ottenere qualcosa.
Il mare quel giorno era di un colore stupendo; il verde intenso sembrava riflettere il colore della pineta ed il profumo della schiuma si mescolava a quello della ragia dei pini, per cui, difficilmente ne distinguevi i confini. Ma l’acqua era piuttosto mossa, per questo i due decisero di inoltrarsi nella pineta, attraverso un sentiero che già più volte avevano percorso, in cerca di porcini o di altri frutti che l’autunno offre abbondanti nei nostri boschi.
Fu proprio mentre stavano raccogliendo funghi, che si trovarono ad assistere ad una scena raccapricciante. Due enormi gatti, grandi come pini, eretti sulle zampe posteriori, erano loro apparsi dal folto della macchia. L’uno, dal manto lucido, che leccava in continuazione il pelo e lisciava le zampe, brillava tanto da riflettere il colore degli alberi che lo circondavano. L’altro, sporco, con il fango secco che gli penzolava, si rotolava fra il terriccio del sottobosco, misto di fogliame marcito e di acquitrino stagnante. I due animali si completavano e vivevano pienamente integrati. Ma la cosa raccapricciante si presentò in seguito. I due gatti, dopo essersi saziati con dei fagiani, un cinghiale ed un daino, si abbracciarono con grande forza, si strinsero con le zampe anteriori e si strapparono dal collo le teste, scambiandosele reciprocamente. L’animale sporco si ritrovò la testa di quello preciso, e quest’ultimo quella del gatto lordo. Ma con ciò non cambiarono né atteggiamenti, né modo di vita. Sembrava che le teste non avessero nessuna influenza sui corpi: le abitudini restavano le stesse, erano i corpi a comandare e a dirigere le azioni degli animali.
Marco e Stefano si guardavano sbigottiti, non avevano neppure la forza di respirare, restarono come paralizzati, ma non potevano fare a meno di muoversi e di sfrascare. A questo punto furono visti; i due animali li afferrarono, li sollevarono e li posero in alto sulle frasche di un pino gigante. Li disposero su due grandi forcelle e li guardarono a lungo.
E così fu, finché da quel momento e per molto tempo, restarono assieme e viaggiavano per la pineta, scoprendone i segreti: si nutrivano di bacche, radici e di tutto ciò che può offrire il bosco. L’animale trascurato aveva scelto come compagnia quella dell’amico pulito, preciso, attento alla sua persona, mentre quello lucido ed ordinato quella di Stefano, il ciabattone. Tutti e quattro si integrarono e assieme si sintonizzarono talmente negli atteggiamenti, che i due ragazzi non parlarono più, ma miagolavano con urli forti e strazianti e i loro aspetti erano entrati in simbiosi con la natura: il carnato diveniva verde, gli occhi marrone scuro color terra, i capelli color dell’acqua chiara.
Gli animali continuavano a scambiarsi il capo sempre più spesso. Un bel giorno i due giovani si presero, si strinsero con le braccia divenute nerborute e forti, si cinsero le teste e contemporaneamente se le staccarono di netto per imitare i due enormi gatti; ma i volti, con gli occhi sbarrati e le bocche digrignate, restarono fra le loro braccia.
I due animali scomparvero e più niente si seppe, né più tracce restarono. Quelle ridenti pinete hanno lasciato incontaminato il loro fresco ed il loro profumo di ragia. Solo con l’apporto del monco fu ricostruita la storia.