La notte della luna
Shh … ascoltate: i lupi stanno ululando alla Luna, la stanno salutando.
E nei suoni dei loro ululati ancora oggi respira una storia.
E’ nata in tempi ormai lontani, quando a rendere meno buia la notte, erano solo
le stelle.
In un punto sconosciuto in mezzo all’infinito oceano blu c’era una terra
incantata, protetta dalle alte montagne e sempre accarezzata dalle onde del mare. Incantata perché lì, la Natura, era libera di crescere nella propria armonia, senza
scopi né padroni, così che i fiori, gli alberi, le stelle e gli animali vivevano nel rispetto del più prezioso e naturale degli equilibri.
Nessun piede di essere umano, aveva mai calpestato la terra di quel luogo lontano, fino a quando in una notte piena di stelle ma pur sempre buia, il continuo andare e venire delle onde del mare, lasciò sulla riva dell’isola una bambina, in un’enorme e bianca conchiglia.
La trovarono i grandi lupi bianchi dagli occhi di ghiaccio, per i quali subito divenne figlia del branco. La chiamarono Leila.
Crescendo la ragazza scoprì di avere una capacità particolare: capiva il vento che soffiava da luoghi misteriosi e lontani al di là dell’infinito oceano blu; luoghi sussurrava il vento, popolati da tanti esseri umani dalle storie più diverse, alcune piene di odio e di tristezza, altre piene d’amore e di speranza.
Leila sceglieva quelle più belle e le raccontava, perché diceva -”Ci sono storie che non possono smettere di essere raccontate, storie, che devono continuare a respirare.” Per questo le raccontava e senza mai desiderare di vederli quei luoghi e di conoscerle quelle persone.
Fino a quando, una notte, sognò l’amore.
Non vide il volto dell’uomo ma lo sentì respirare piano vicino al suo viso, lo sentì stringerla forte e all’improvviso il calore più dolce e intenso sembrò riempirle il
cuore … era questo l’amore?
Nel sogno si ascoltò domandare “Chi sei?” lui non rispose ma poco prima
di sparire nella luce di un nuovo sole sembrò sussurrare “Non so chi sei ma ti
vengo a cercare”.
Leila riaprì gli occhi felice e innamorata, convinta che se l’amore la stava cercando prima o poi, con il mare, sarebbe arrivato. E fu così.
Una notte il mare forte e agitato, lasciò sulla riva un uomo e fu Leila a trovarlo.
Ed eccoli là, l’uno di fronte all’altra con i piedi nella sabbia.
Lui già perso negli occhi di ghiaccio di quella ragazza che emozionata, guardava
e non riusciva a lasciargli le mani: le accarezzava, sfiorava poi le stringeva forte … aveva la sensazione che ogni centimetro di pelle di quell’uomo sconosciuto, si incastrasse perfettamente nella sua. E, quando poi incontrò gli occhi, guardò profondamente lontano e allora parlò l’anima: < Ti ho trovato. >
< Sono un viaggiatore > esordì l’uomo < ho scelto il mare perché sulla terra, non
ci so stare. >
Sorrise Leila, sapendo che il motivo per cui lui mai sarebbe potuto restare era lo stesso per il quale lei mai, sarebbe potuta partire. E, allo stesso modo, la ragione per cui adesso che si erano trovati, al di là del tempo e dello spazio si sarebbero chiamati e per sempre incontrati.
Ma il mare confonde e se vuole nasconde.
Per ricondurre il viaggiatore all’isola, ogni volta che questo prendeva il largo a bordo della sua nave, Leila ad ogni mostrarsi dell’alba, apriva la sua bianca conchiglia per assorbire la luce del sole, ed ogni notte la richiudeva.
Così giorno dopo giorno, sera dopo sera, pezzo dopo pezzo, il guscio diveniva sempre più luminoso, fino alla notte del ventottesimo giorno, quando ormai piena
di luce, la conchiglia disegnava in cielo un bellissimo grande e pieno cerchio luminoso il cui bagliore, riflesso sulla superficie del mare, vi tracciava una lunga
scia argentata. Da qualsiasi luogo dell’infinito blu il viaggiatore si trovasse, riusciva
a vedere la scia, a seguirla e questa, come fosse una strada, da Leila lo riportava.
Si incontrarono per molte altre volte ancora, fino a quando una notte, fu il mare a scegliere il viaggiatore e allora soffiò forte il vento fra i capelli di Leila. Capì.
Chiuse gli occhi perché questi non avrebbero potuto più vederlo, strinse le mani
in un pugno perché queste non avrebbero potuto più toccarlo, respirò intensamente
e l’odore del mare le riempì i polmoni. Con gli occhi ancora chiusi guardò profondamente lontano e all’improvviso, un calore dolce e intenso sembrò toccarle
il cuore, allora parlò l’anima: < Ti ho trovato. >
La ragazza dagli occhi di ghiaccio continuò a raccontare le storie portate dal vento,
a riempire la sua conchiglia della luce del sole per riaprirla solo ogni ventottesima notte, per chiamare il suo amore al di là del tempo e dello spazio ma anche per
aiutare tutti quegli amanti, che non si riescono più ad incontrare perché hanno
smesso di ascoltare.
Morì in una notte piena di stelle, ma pur sempre buia.
E nell’isola, calò l’intimo silenzio di cui solo gli addii sanno appropriarsi.
Poi la conchiglia si illuminò staccandosi da terra, prese la forma di un’enorme scia luminosa che abbracciò l’isola, accarezzò il mare e illuminò i grandi lupi bianchi,
lasciandogli addosso l’argento.
Salì su in alto e nel cielo stellato apparve un grande cerchio pieno e luminoso.
Ulularono i lupi per salutare quella che oggi chiamiamo Luna.
Nacque quella notte l’incantata sfera di luce bianca che non brilla di luce propria
ma del riflesso del sole, la luna che solo al ventottesimo giorno si mostra piena tutta quanta, ed esercita sul mare la sua più grande forza di attrazione, tanto, da far rallentare, il moto della Terra.
Nacque quella notte l’astro al quale i lupi rivolgono il loro saluto con un ululato
in cui, ancora oggi, respira, una storia.