Su: Materia Grezza, di Aurora De Luca
La recensione di Nazario Pardini
Un’avventura verso orizzonti che sa di mistero e di traguardi irraggiungibiliChe tu abbia materia grezza,
che tu sia legno di zattera
e saturo di sale vada stupito
a domandar dove andare.
Che tu non abbia ori nello sguardo,
né aquiloni nelle braccia,
ma verità negli occhi
e grazia giù a fondo,
per le strade delle ossa,
Che tu abbia materia grezza
e genuina essenza (Materia grezza).
Poesia calda, intensa, folta; poesia eponima che, da subito, con la sua incipitaria parènesi, introduce quello che è il nerbo focale del “Poema”. Un dire, che, preso a sé, può essere interpretato come monito universale, come input ad agire, a sentire, ad avere verità negli occhi e grazia più a fondo. Un monito che può essere indirizzato ad ognuno di noi, un’esortazione ad un comportamento etico ed umano di grande valenza spirituale, sociale, ed esistenziale, anche. Ma se inserito in un contesto dove il lui: è abissi da scalare, ramo come foglia d’autunno, profumo di rose, piccolo campo incolto, luce furente; e lei: il mare gonfio, sospiro in moto, inverni che si mettono in fiore, onda, risacca, speranza, zattera sicura in braccio, nel suo petto, fino a “E mi sfiori poi,/ poi mi guardi e di nuovo mi sfiori”, certamente assume una significazione più intima, personale, tutta rivolta ad una scalata all’azzurro con ali tinte di verità private, di illusioni e misteri, di giovani albe, di compenetrazioni di amorosi sensi.
Ho già avuto occasione di leggere poesie di Aurora De Luca e sinceramente in questo nuovo percorso ho notato una vis creativa, una resa umana e stilistica in progress, una frequentazione dell’interiorità di proteiforme valenza; una generosa empatia erotica ex abundantia cordis, e un azzardo all’oltre di caratura esistenziale di profonda spiritualità; una tappa mai conclusa, la direi; dacché ne sottintende un’altra, ancora un’altra, e un’altra ancora che si affidano a slanci emotivi di una storia in fieri; niente è ultimativo nella vicenda umana; tantomeno la morte che si combina con la rinascita in un perpetuo divenire; in una perpetua simbiosi di contrapposizioni che alimenta il nostro vivere e il procedere di una Natura proiettata verso l’eterno; come questo amore, che, pur cibandosi di forti connotati terreni, e pur offrendosi come materia grezza da plasmare, volge lo sguardo ad un avvenire, ad una forma che sa tanto di michelangiolesca fattura, di etereo e di ascesa verticale. Materia grezza, il titolo di questa plaquette edita per i tipi di Genesi Editrice, i cui versi, assemblati con euritmica sonorità, e grande energia visiva, si offrono duttili alle richieste di un sentire ora esplosivo ora meditativo. Ma pur sempre architettonicamente ben costruiti, anche con sfumature che richiamano ad una tradizione letteraria nostrana, vicina alla formazione culturale dell’Autrice, portata a indagare in maniera filologicamente autoptica sulla costruzione verbale. Con questo non se ne intende sminuire la spontaneità, anzi se ne vuole delineare l’autenticità, considerando che la poesia non è mai qualcosa di avulso, ma la risultante di un insieme che delinea la complessità di un poeta: a livello etico, immaginifico, passionale, verbale, formativo. E quello che colpisce, da subito, è il fonosimbolismo di uno stilema che si fa pieno, allusivo, e inanellato in una metaforicità che si dispiega in nèssi di grande effetto innovativo. Una narratologia di cui la poetessa sente urgente bisogno per il suo ontologico stato di grazia. E che si fa valore aggiunto e compattezza formale in questo “canzoniere” d’amore. Ma non il solito canzoniere dedicato ad un lui con il quale si esaurisce il tutto. E magari in maniera egotistica e narcisistica. Qui c’è una ricerca attenta e psicologicamente analitica di una verità. Una verità mai compiuta. Quella di un sentimento che si evolve diacronicamente come ogni manifestazione vitale soggetta al tempo e al luogo; alle relazioni e agli stati d’animo:
Sono io che ti parlo,
taciturno stelo di fiore.
Ho perduto la testa,
non m’è rimasto neppure un petalo.
E’ l’amore
che l’ha portata via
e alle sue domande
nessuno risponde (La storia della margherita).
E questa metamorfosi si attua in un crescendo di grande sintonia lirico-panica. Di grande penetrazione spirituale che coinvolge la vita in tutta la sua plurivocità, nella ricerca del tutto e del sempre. Nella avventura verso orizzonti che sanno di mistero e di traguardi irraggiungibili, magari, soprattutto, per le propensioni della Nostra verso attimi di puro cielo. E’ proprio così. Aurora intende fare di una materia grezza un insieme da lavorare tramite le mani dell’esistere. E sono queste mani a darle corpo, per arricchirla di forma, calore, tatto. Un lavoro lungo, infinito, indeterminato, un lavoro che si fa vita, passione, speranza, illusione e perché no, inquietudine e dolore, anche; insomma amore:
In questi giorni vestiti di nebbia,
di lupi affamati come rami secchi
graffiati e spogli,
non c’è traccia, o forma, o profumo
del banchetto assoluto e folto della gioia.
Ma se mi chiedi di scavare
sotto la neve ghiacciata, sotto la terra,
dentro a questo petto mio,
a questo petto tuo
(…)
Io scavo
e arrivo dove tutte le promesse
sono semi protetti (Sotto la neve).
Che strazio
mio cielo, mio pane
spezzato,
mio tutto intero,
sapere che nulla
avverrà; (Mandorlo in fiore).
E quale potrebbe essere quel sentimento che più dell’amore travolge o sconvolge l’essere e l’esistere. E la Nostra lo tratta in tutte le salse, lo scandaglia in tutti gli angolini più reconditi, senza mai cadere nel becero sentimentalismo, evitando l’insidia dei luoghi comuni con guizzi e pointes, barbagli e folgorazioni, anadiplosi, sinestesie, metonimie, metafore, iperboli, di sostanza e potenzialità creativa. Coinvolgendo anche un afflato naturale che, fresco e umanizzato, aderente e concreto, contribuisce a dar corpo ad abbrivi emotivi con cromie, steli di fiore, aure velate, vento, sole, promesse di vendemmie, sentori di primavera, o rose che s’aprono:
Ci sono raggi di sole
nei gesti di terra e di fango,
dietro alle nuvole.
Ci sono ovunque promesse di vendemmia,
acini che hanno dentro il sapore
dei giorni passati,
dell’inverno bevuto dalle radici.
Ci sono rose che s’aprono
e morbidezza di spine
di schianto, di porpora e luna… (Attimi);
con una simbiotica fusione fra pelle odorosa e arbustiva fioritura tenace:
Tutta lillà è questa mia pelle odorosa,
un’arbustiva fioritura tenace
che non teme inverni tempestosi
e neppure torride estati;… (Lillà);
con respiri di vento, fonte a foce, primavere a fiore:
Fatti vento
anima di pane,
stammi di bacio a bacio
come contagio;
fonte a foce,
primavera a fiore…(Di bacio a bacio);
o con aspettative di altra terra dove sulla pelle il sale è mare essiccato, e il sapore di un lui è tormento d’onda stesa e dove l’irrequietezza di una sostanza radicata si fa segno di aspirazione alla totalità della luce:
Altra terra è la terra
dove sulla pelle
il sale è mare essiccato
ed il tuo sapore
è tormento d’onda stesa,
che anela ad esser lago
ché sempre abbracciata vorrebbe respirare… (Altra terra è la terra).
E tutto si dipana su uno spartito di forte impatto attrattivo; di energico articolato linguistico per cristallizzare la pienezza erotico-esplorativa di armonie audaci, sorgenti e foci:
… E’ il tempo bello
dell’armonia audace
tra la sorgente e la sua foce,
tra la mia gioia dolcissima
e la salatissima paura (Sorgente e foce).
Uno spartito dove accostamenti allusivi dànno potenzialità al dispiegarsi del focus del canto. E dove la timidezza del lui si fa saggezza del fiore:
… La timidezza tua è la saggezza del fiore,
inespressa promessa di primavera,
un gesto sorpreso di luce (La timidezza tua).
Chateaubriand dans le “Genie du Christianisme” afferma: “Se gli anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se scoperchiamo una tomba, la natura vi pone il nido di una colomba: incessantemente occupata a rigenerare, la natura, circonda la morte delle più dolci illusioni della vita”. Quella natura che qui si fa viva e vibrante come l’anima di Aurora; come la sua voce che grida ai quattro venti, con audace vitalità, l’attaccamento all’esistere, ad un amore che si offre come materia grezza e genuina essenza a un “fiore bianco,/ nella carne delle mie dita”.
… Ma posso solo darmi ai tuoi sorrisi di cielo
e spendere il mio sangue nel giurarmi tua,
e credere in te,
fiore bianco,
nella carne delle mie dita (Fiore bianco).