IL PADRE – AA.VV. a cura di Nazario Pardini
AA VV a cura di Nazario Pardini
Enoteca Letteraria 2016
INTRODUZIONE
Quest’antologia prende spunto da uno degli ultimi post di questo blog, cioè da “Riflessioni sul padre” di A. M. Pacilli, e nasce quasi da una scommessa: “Perché non collegare scienza e poesia? Perché non far intervenire sull’argomento i poeti di Lèucade?” ci siamo chiesti per telefono io e Nazario. È andata così. Nelle poesie che il lettore trova qui pubblicate s’addensano più significati. Esse indicano innanzitutto l’esperienza umana e artistica che della figura paterna ogni poeta ha direttamente o indirettamente maturato nel corso della sua vita; e poi rappresentano una testimonianza di affetto e amicizia nei confronti del padrone di casa, l’infaticabile e gentile Nazario Pardini; ed anche un’abitudine a frequentare quest’isola felice; ma, più ancora, esse incarnano, proprio per essere qui riunite, un momento di visibilità collettiva di tutti i poeti che, in vario modo, sono legati a questo blog. Tutti insieme, in un canto a più voci, in vari stili e tendenze. Perché Lèucade è plurale, accogliente, grande. Perciò chi legge avrà davanti agli occhi un campionario di testi talmente variegato che gli sarà difficile non trovare rispondenze al suo sentire. Questo almeno ci auguriamo. In ultimo, giova precisare che le poesie della presente antologia sono disposte -garante Pardini- in puntuale ordine di arrivo. Buona lettura! Pasquale Balestriere
Una nuova poesia
da “Intervista a Giorgio Linguaglossa” di A. Simeone
“… la vera poesia è quella scritta da un uomo libero per cittadini liberi. Ma, le chiedo: siamo oggi liberi? È possibile scrivere per uomini che si credono liberi ma che nella realtà non lo sono? È possibile scrivere sapendo di già che c’è una menzogna sottostante che ciascuno fa finta di non vedere? È possibile scrivere una poesia o un romanzo senza prendere atto di questa ipocrisia macroscopica?”
Il critico romano, commentando la poesia Ars Poetica di Czesław Miłosz, afferma: “ Il punto centrale della riflessione sulla poesia viene introdotto subito nei primi versi: «una forma più capace», che non sia « né troppo poesia né troppo prosa». Una forma ampia, dunque, che consenta l’ingresso nella forma-poesia della forza rigenerante della «prosa». Miłosz caldeggia una nuova poesia che sia al contempo riflessione sulla storia e una selezione di immagini povere, prosaiche; di qui la scoperta che «nella poesia c’è qualcosa di indecente», la presa di distanze dalla poesia dell’ego, tutta incentrata su «ciò che è morboso» in quanto oggi «molto apprezzato dai poeti», una poesia che tratti dell’«uomo ragionevole», poiché « il mondo è diverso da come ci sembra / e noi siamo diversi dal nostro farneticare». Di fatto è questo il primo altissimo documento poetico di un poeta europeo in favore di una poesia di ampio respiro, che contemperi l’ampio sguardo sulla storia degli uomini e i piccoli fatti del quotidiano. (…) Ritengo che il futuro della poesia sia la «forma ibrida». Oggi non è più possibile né ragionevolmente concepibile scrivere in endecasillabi tonici come faceva il Pascoli o nelle forme chiuse artatamente chiuse in base ad un programma elitario ed olistico della poesia. La forma-poesia, come ci ha insegnato Miłosz, deve essere «una forma più spaziosa» che consenta la ricezione della «prosa». Il futuro della forma-poesia è in questa direzione.”
Giorgio Linguaglossa
La poesia oggi
La conoscenza poetica appartiene al mondo del singolare, dell’individuale, non è facilmente estensibile né generalizzabile. In fondo non mi pongo il problema di far partecipare l’altro, il lettore, al mio vissuto, ma solamente di manifestarlo, di pronunciarlo. Si può dire – paradossalmente – che non cerco l’empatia ad ogni costo e che forse questa neanche mi interessa. No, l’empatia non mi interessa. E la ragione è quella dichiarata di un interesse per la gnosi. Non scrivo poesia pensando al lettore o mosso dal desiderio di accattivarmelo. Il così detto pubblico non ha mai un gusto proprio. Se mai risponde distrattamente a un orientamento imposto dalla moda del momento e va dietro al vago impulso che gliene deriva, che è un impulso disturbato proprio come per tutti i bisogni indotti, per i quali non c’è mai felicità anche quando vengano soddisfatti. L’idea che il pubblico ha della poesia si lega alla più noiosa pratica scolastica dell’esegesi, del riassunto, della parafrasi, delle note a piede di pagina. È un’idea di oscurità, di fatica, di inutilità. Le pochissime persone che, tra il pubblico, si imbattono poi per caso nella poesia restano stupite di incontrare qualcosa che in realtà non conoscevano affatto e che non assomiglia all’idea scolastica che gli era rimasta addosso. Io sento la poesia come un dettato che sfugge a qualsiasi strategia comunicativa, il che non vuol dire, evidentemente, l’adesione al codice cifrato. La conoscenza appartiene sempre al mondo del singolare, anzi, quanto più appartiene al mondo del singolare, tanto più ha valenza universale. Ma il parteciparvi da parte del lettore necessita di una scelta individuale, come una forza attiva decisiva. Il lettore deve decidere di entrarvi e lo farà, magari, avendo avvertito un input rispetto al quale provvederà lui stesso a realizzare l’empatia. Ogni percorso di gnosi è sempre una pratica esoterica. E, in poesia, qualsiasi argomento per me è buono.
Paolo Ruffilli