Da: Dicotomie
Quanto era largo
Quanto era largo il piano dei miei campi
coperti dalle foglie quasi nere
di tanta vigoria: foglie trepide
di pèschi e di ciliegi; di golena
schizzavano le rondini in campagna
bucando l’aria sapida di verde.
Brucavano dal manto color crema
le erbette tenere greggi guidati
da pastorelle libere da manti
all’aria quasi estiva. Che profumi!
I ticchettii di forbici e di aratri,
un’orchestra in un quadro di Fattori.
Un pioppo secco coi suoi rami scarni
pieno di uccelli neri
rantolanti
si stagliava in un cielo
sfacciatamente azzurro e distaccato.
06/03/2011 h. 10
Mia madre si stupiva
Mia madre s’infangava con in mano
un falcino per recidere le foglie.
Ai piedi non aveva tacchi a spillo,
ma stivaloni tanto pesi che
le stremavano i fianchi. Sulle prode,
lunghe e verdastre, sgraziata dai geli,
consumava le dita per raccogliere
un sacco di spinaci e guadagnare
qualcosa per mangiare. La mattina
la brina lampeggiava sopra i campi,
ma con i guanti non poteva operare.
Se era brutto la terra s’impolpava,
e sotto l’acqua, appena riparata,
violentava i suoi sogni. Non di rado,
alla sera, il tramonto si gonfiava
per toccare coi suoi colori d’oro
la mota di quei solchi. E mia madre
si stupiva davanti a quei colori,
davanti a quella volta iridescente.
Con il falcino in mano, e il volto stanco,
ammirava, stupita,
quei giochi del tramonto sopra il campo.
13/02/2011 h. 10,30
Sulla strada c’è guerra
Ormai il sole s’immerge tristemente
nelle fauci dei pelaghi. Frantuma
l’ultimo raggio in polvere rubina.
È l’ora che divide
il giorno dalla notte. Capannelli
attorno ai pescatori che preparano
le barche per il mare. Questa notte
promette ricche prede, ma richiede
travagli in mezzo ai fiotti. Ormai la luna
si staglia piena, ricordo di luce
naufragata nei gorghi. Più nessuno
sulla spiaggia deserta illuminata
da luci virtuali; è quasi l’alba
e due amanti accosti ad un pattino
raccontano l’amore al primo lume
che liscia con un fremito di vitala
larghezza del cielo. Che silenzio!
Che silenzio sul mare! Lo interrompono
il fruscìo della bàttima ed il grido
del gabbiano irrequieto. Ma è silenzio.
Sulla strada c’è guerra. Si ritorna;
e un botto deflagrante irrompe attorno:
dei ragazzi violentano la vita
per qualcuno in dormiveglia con in mano
l’immagine di un Cristo Salvatore.
07/03/2011 h. 9,30
Libertà
Il cielo è oscuro al colmo, ed oltre il monte
mancano spazi. L’aria che respiro
non è la mia. È un’aria pesa. Opprime.
E poi mi manca il mare. Sì, lo so!,
c’è il mare!, è là, lo vedo! Ma non alita,
non ne respiro il fremito salmastro.
Quello di sempre. Né il lamento vago
mi giunge da lontano
a che io l’ami. Il cielo è proprio nero.
E la pineta non trema. Sì!, lo so
ch’esiste!; è là!, ma è ferma, non si muove,
né m’invia dalle tede il suo profumo
resinoso ch’io ho sempre respirato
da quando sono nato. È vuota l’aria.
Non sa di niente l’aria. E sono i campi
incolti e senza vita. Sì!, lo so
che sono seminati! Ma per me
piangono i campi assieme alla mie pene.
È questo ciò che provo. Forse è l’anima
che triste a tutto infonde il suo livore.
Infatti io sono chiaro (dice il cielo).
Mi squarcio aperto. Non frappongo limiti.
L’aria è leggera. E il mare schiuma e grida
pregno di spazi.
I voli degli uccelli
sono laggiù davanti coi fruscii
eternamente liberi sull’onde.
T’inviano i pinastri rosseggianti
le chiare note che
sempre adorasti. Ascolta! Ed ora imprimi
la libertà che attorno a te non c’era.
La scopri nella terra che non muore.
Senti fremerla dentro. E dentro smuove
ed alimenta i germi. Non lo senti?
La libertà che provi ora è dintorno
a te che vedi in ogni nube nera
soltanto fresche e tremolanti macchie
che vagano sul piano quando è sera.
31/12/1998
Al poeta Brodskij per la sua morte
(Dissidente sotto il totalitarismo sovietico,
morì esule negli Stati Uniti nel febbraio del 1996)
Uomo di solitudini distese,
d’innevate esistenze
eburnee, rilucenti
al sole impallidito,
uomo d’animo ardito
di dissenso,
di rabbia e di caparbia
per un bene comune,
per un lume
che porta la pace;
uomo di grandi confini
da piccoli spazi rinchiuso
ove l’uso uno perde
di essere uomo.
Ti vedo ramingo,
unito alle voci
di tutti quei seni scaldati,
armati di penna,
soldati di idee
che videro fine ingloriosa
di una terra di martiri e grida.
L’Occidente ti dette il tuo nome,
oh poeta,
un premio dal quale sfuggisti
oramai
coi guai che posero fine
ad un’anima fuori dai lidi.
Arditi risuonano gli inni
d’amicizie finite,di stelle rapite,
d’animi trafugati
ai casolari, ai figli
da un artiglio impietoso.
E solo
ti vedo, oh poeta,
che continui con animo vivo
la ricerca che porta la pace,
che arriva alle steppe
che tacere non seppero la vita.
25/02/1996
Ora è il tempo
Ora è il tempo che snocciola i suoi semi
sul piano dei ricordi. E l’aria fresca
di un novembre grinzoso li sparpaglia
sull’immenso dell’anima. Leggeri,
come le piume di uccelli vaganti,
non trovano riposo. Si dividono,
si ammassano, s’innalzano, si sperdono,
o restano, alcuni, nascosti tra i pini,
nascosti fra crepe di mura paesane,
o fra erbe di colli che han perso il reale.
Io cerco, novembre, tra il vento che spiri
i semi confusi. Li cerco dovunque:
nel mare del tempo, nel tempo del mare,
nel fosco dei boschi, nei boschi che i raggi
trafiggono ancora con steli di luce.
Se questo mio autunno vorrà
attenderò sia fertile il terriccio
che nutre la mia anima. Su quello
innesterò di nuovo i semi spersi
e ritrovati. Credo che cresceranno,
e torneranno in fretta fusti snelli,
a un’aria un po’ più mite. Spero solo
in un albero folto ed affollato
di freschi giovanili: proprio là,
sotto quei freschi,
voglio tornare a vivere.
21/07/2011 h. 11