Il santone
Quella sera mi venne la voglia di lasciare tutto e di andare verso la spiaggia; l’aria era già fresca e traspariva raggi obliqui di poco calore. Era completamente deserta: i soliti pattini e qualche barca da pesca che si accingeva ad affrontare le onde. Stetti là per un po’, a gustarmi il silenzio denso di resine, rotto dallo sciacquettìo dei tuffi dei gabbiani. Ad un tratto la mia attenzione fu attratta dalla sagoma di una persona che, da molto tempo, alzava le mani al cielo e poi, di seguito, le stendeva a terra e ripeteva con insistenza quel movimento. La curiosità mi spinse ad avvicinarmi, per accertarmi dello strano fatto. E in effetti un uomo di grande statura, con una lunga barba fluente giù dal mento, stava veramente levando le lunghe braccia verso il cielo, per poi stenderle sulla rena umidiccia della battigia.
Non potei fare a meno di chiedergli che cosa stesse facendo ed il perché di tale rito: “Forse signore siete un seguace del culto musulmano e state pregando rivolto alla Mecca. Se disturbo, ditelo chiaramente, che mi allontano e vi lascio alle vostre funzioni.” “No! Affatto, voi mi potete aiutare in qualche maniera, anche se il vostro contributo sarà minimo.” Rispose. “Vedete, io credo fermamente che non esista solo un Dio, ma che esista la spiritualità diffusa nel colmo sottoforma di miriadi di particelle disseminate, come piccoli atomi, nelle molecole del sereno. Io non sto facendo niente altro che portare più cielo possibile per terra e credo che se tutti i mortali, con sincronia, facessero lo stesso movimento, tanto cielo sommergerebbe la terra e tanta spiritualità gli uomini.” “Ma per quale motivo ambite a questa crescita di spiritualità?” “La terra, mio caro, è perduta o sta perdendosi. Ed è l’ambizione della materia, il piacere della ricchezza, la voglia della corsa, la perdita del gusto del bello, la mancanza di affetti, lo svilirsi dell’amore che determinano la fine dell’uomo. Io sto lavorando per riportare la spiritualità, il piacere delle cose umili, la commozione della contemplazione, la sensibilità dell’arte, la ricchezza interiore che deriva dalla semplice osservazione di questi tramonti, per esempio.” “E pensate di riuscirci?” “Occorre buona volontà, costanza, compattezza e un buon mezzo per diffondere il mio credo, perché da solo ben poco posso fare, o meglio, in due ben poco possiamo fare.” Siccome si faceva tardi, io me ne venni; lasciai il fresco respiro del mare ed i suoi pochi rumori di vita, non senza aver prima salutato quell’individuo. Pensai sinceramente che avesse qualche rotella in meno. A casa, più volte, mi ritornò alla mente lo strano episodio dominato da quella figura massiccia, immedesimata nella sua opera di rivoluzione pacifica. I
l giorno dopo, alla solita ora, ripresi il cammino ed andai al solito posto, sul mare e là, infaticabile, il nostro santone continuava a sventolare le mani, per poi distenderle sulla rena arrossata dalla porpora del tramonto. Mi avvicinai a lui e mi salutò con garbo: “Buonasera! Mi avete pensato? Avete fatto qualche esercizio spirituale?” “Sinceramente no! Ho avuto molto da fare da quando vi ho lasciato; ma ho pensato molto a voi e ai principi che muovono i vostri gesti; sinceramente mi sembrano molto nobili.” “Vi voglio raccontare una storia, amico, così colgo l’occasione per riposarmi un po’. In una città molto vicino alla vostra c’era, anni fa, una fanciulla meravigliosa, da favola, tanto era bella: occhi celesti, capelli biondi, carnato rosa. Capace di offrire sensazioni pressoché divine; languida e incantevole, trovò presto il suo uomo e altrettanto presto si sposò. Ma il suo uomo ebbe delle peripezie e con gli affari, che non gli andavano troppo bene, passò brutti momenti. Questa meravigliosa fanciulla, per salvare lo sposo, per il quale avrebbe fatto ogni cosa, finì nelle mani degli usurai che, come sapete, non danno alcuna possibilità di scampo. Il debito per la povera moglie aumentava sempre di più ed il tentativo di togliere il marito dai guai, a sua insaputa, era stato inutile. Finì in un vicolo cieco e la sua ingenuità la portò a commettere azioni sempre più irrazionali; finché, non sopportando più una situazione insostenibile, si tolse la vita. È la vita, mio caro, è la vita che noi viviamo, fatta di inciampi, di ostilità, di competizione sfrenata che porta alla soppressione totale dei sentimenti più genuini e per i più deboli non esiste medicina.
Lasciò una lettera quella povera fanciulla, dove confessava quello che aveva cercato di fare; tutto avrebbe sopportato, ma una cosa non poté tollerare; in quel groviglio di estorsioni e di ricatti si era dovuta dare. Lo aveva dovuto tradire. A mente ferma, questo fatto aveva scavato sempre più nel suo animo, fino a condurla al dramma finale. Suo marito tentò di tutto, ma quella gente sostenuta da buoni legali, difensori professionisti, riuscì ad avere sempre la meglio. Dedicò poi tutta la vita ad impegnarsi in associazioni a livello privato contro ogni forma di delinquenza, ma non trovò mai aiuti consistenti. Nemmeno pregando e io so quanto! Nullo o quasi era stato tutto il suo operato, se riferito all’aridità e alla condotta degli uomini sempre disposti al male e a non tenere di conto dei sentimenti degli altri. Quell’uomo pensò allora che ci dovesse essere un sistema per spiritualizzare il mondo e si fece una filosofia. Ora siamo in due ad alzare e ad abbassare le braccia, non è detto che fra tempo molti non siano disposti a far cadere il cielo sulla terra. Non è tanto il gesto in sé che conta, quanto il movente che lo determina: per fare del bene ogni sistema è lecito, anche una chimera. Per educare l’animo ogni sistema è buono, anche l’utopia.”.