La corsa o L’altro aspetto dello sport
La gente è di già assiepata ai bordi della strada per assistere alla partenza dei propri beniamini. In mezzo a due siepi di folla uno spettacolo variopinto di maglie, un luccichio di metalli, uno schioccare di catene e di cambi. Numerosi atleti, seduti sulle canne delle loro biciclette, in uniforme nuova e lucente, attendono fiduciosi e commossi il segnale del via. Maglie diverse, numerose e mescolate, ma che sanno pur prendere simmetria e precisione fra quella moltitudine. Prima i colori di una casa, che ne conta un certo numero, poi altri di una seconda, quindi altri e altri ancora, quasi tutti raggruppati.
In fondo un corridore solo, senza compagni di squadra. Parla con un giovane, che gli accomoda la maglia, gli mette nelle tasche posteriori della frutta: sembra che lo voglia incoraggiare e con la mano gli scuote fraternamente la testa. Sul volto dell’atleta si può notare un sorriso forzato, costruito a stento su una emozione forte e logorante.
Il giudice di gara si avvicina, fa l’appello; i corridori rispondono uno alla volta. Gli ultimi consigli, gli ultimi incitamenti delle voci più care; poi l’immane groviglio di ferro, di gambe deformi, luccicanti e di maglie variopinte si muove sempre più velocemente.
Ai bordi la gente si alza sulla punta dei piedi, grida, incita, innervosisce gli atleti che, già da ora, danno inizio ad una marcia sostenuta, da tenere, per chilometri e chilometri, attraverso strade di piano, di collina e di montagna. Dietro i corridori continuano a sfilare macchine con le scritte di prodotti da reclamizzare nei paesi più lontani.
Ora la folla invade la strada, si divide in gruppetti che prendono direzioni diverse: chi nei bar, chi allo stadio: parlano, mentre camminano, della competizione e delle sue probabili vicende; si cerca di fare pronostici, si fanno scommesse e si accendono discussioni.
Dopo qualche tempo, là, dove prima la gente si pestava i piedi, è deserto. Mancano quattro o cinque ore all’arrivo degli atleti, quelle più faticose e calde della giornata. Qualcuno si posiziona in attesa del momento più bello e uno sportivo cammina tanto nervosamente in su e in giù, che è impossibile non notarlo. È quel giovane, quello che sistemava la maglia del corridore solo, che gli metteva la frutta nelle tasche posteriori e ogni tanto lo stropicciava per distrarlo. Ora cammina impaziente con passi agitati e con gli occhi pensosi, che cercano di arrivare al di là di ciò che li circonda. Ha dinanzi a sé ore ed ore di attesa snervante e dai primi momenti fino alla fine ha inizio un’altra corsa, quella della sua mente. Una corsa in cui i sentimenti più felici, i più tristi, i momenti di disperazione, gli attimi di sollievo si alternano gli uni agli altri, dando forza e calore alla singolare gara del nostro personaggio. Ora vede il suo corridore in mezzo al gruppo, che va tranquillo e pieno di riserve, ora, all’inizio delle difficoltà, lo vede reggere a stento le ruote. E si avvicinano i momenti tristi e i pensieri nervosi. Lo vede soffrire, soffrire per la polvere, il caldo, la salita e ancora di più soffrire per l’incapacità di reggere; lo immagina in pianto nel vedersi reclusa ogni possibilità di successo che avrebbe voluto offrire al genitore, agli amici o forse a quello, che solo e impaziente, cammina con passi inquieti, al traguardo. E anch’egli soffre nel sapere con certezza misurare le difficoltà del suo beniamino. Poi la speranza: “Se fosse primo?” E un sorriso rasserenatore prende il posto delle smorfie di tristezza sul volto di lui. Di nuovo la tristezza, di nuovo la malinconia, al pensiero di quella strada tortuosa, bianca, polverosa, percorsa da macchine e da un giovane sfigurato dalla polvere e dal sudore, che spende ogni sua energia in una lotta serrata. Più volte e più volte un nodo gli stringe la gola, quasi a soffocarlo e più volte e più volte quell’Aldilà, invocato da tanti, è chiamato con preghiera intensamente sentita a portare aiuto a quel ragazzo che, nonostante tutta la volontà e la generosità, si vede staccato senza più energie da spendere.
Intanto, mentre quel giovane tutto raccolto nei suoi pensieri e nelle sue visioni, continua la sua marcia instancabile, i primi spettatori si avvicinano a prendere i migliori posti all’arrivo. In breve tempo i bordi della strada sono di nuovo invasi da una immane moltitudine di sportivi che attendono la decisione. E tuttora da ogni direzione sopraggiungono al traguardo. I ragazzi salgono sugli alberi, sui muri e un viavai di persone mette in allarme: “Sono vicini.”
Il nostro giovane, solo ora, va in cerca di un posto. Prima, mentre gli altri prendevano le migliori posizioni, si era preoccupato di metter su qualche notizia positiva. E ogni gruppetto di persone che parlava della corsa lo vedeva infilarsi ad orecchi tesi in cerca di novità.
Sopraggiungono i primi motociclisti ad aggiornare gli spettatori: sei uomini in fuga con un margine sicuro sugli altri, che seguono frazionati, per le difficoltà degli ultimi chilometri. L’altoparlante ripete continuamente di sgombrare la strada: i corridori sono vicini. La gente preme sempre di più; le teste sbucano da ogni spiraglio e gli occhi cercano di andare il più lontano possibile, in quel rettilineo senza fine. Ancora motociclisti, poi macchine al seguito, non più brillanti, ma polverose fino al punto che le reclames sono illeggibili. Le macchine prendono posto: arriva quella della giuria e il giudice di gara dispone per l’arrivo, raccomandandosi a tutti i commissari che si prendano i numeri con attenzione. Tutto è pronto e predisposto; ed ecco sbucare dalla curva, che immette sul rettilineo finale, sei uomini: prendono posizione per la volata, gli ultimi sforzi e il guizzo del vincitore. La folla in gran parte si precipita su di lui, lo vuole conoscere, toccare. Comincia il disordine, nonostante le raccomandazioni dall’altoparlante. Sopraggiunge la polizia con le moto e altri corridori che cercano di precedersi con sforzi e scatti.
Poi la folla si comincia a decimare, va dietro ai campioni a mano a mano che essi si allontanano; così rimangono poche persone di servizio sul rettilineo, qualche agente e qualche spettatore. In mezzo ad essi, quel giovane attende ancora: ora non solo triste e malinconico, ma anche preoccupato. Pensieri disastrosi gli invadono la mente: ogni tanto si volge verso il rettilineo per scorgere la sagoma del suo corridore. Finché gli sembra di averla notata: “Sì, è lui!” Felice come se andasse incontro ad un vincitore, ad un trionfatore, corre veloce; e quando è vicino, si accorge che quella maschera di stanchezza nasconde un altro atleta. Deluso, più triste e pensieroso che mai, va avanti fino alla curva, lì attende; da là può vedere più lontano. Ma ben più lontano vorrebbe andare; vorrebbe trascorrere tutto il percorso, andargli incontro, magari soccorrerlo, lottare insieme a lui; si sente quasi vigliacco in quell’attesa oziosa; sente che qualcuno del suo sangue soffre ora più che mai, o, forse, per una caduta, resta là ancora sudato e tutto sporco, immobile e privo di sensi. Così fa altri passi, altri ancora e la strada gli passa ed i metri formano un chilometro, due. Poi… questa volta non erra, la statura, la pedalata lo rassicurano. Non si può sbagliare: fa l’ultima corsa e quando gli è di fronte, lo vede stanco e macilento, sporco e esausto, ma grida, grida dalla contentezza, dà sfogo alla passione, alla commozione.
Quando nessuno non dà più importanza alla corsa, quando le strade sono sgombre, un giovane solo dietro ad un atleta, grida come impazzito e forse qualcuno sorride burlandosi di lui. Salta su una moto che segue il corridore, scende al traguardo, l’abbraccia e lo stringe. Forse niente di più bello poteva trovare all’arrivo quell’atleta e, mentre una lacrima gli esce dagli occhi, con uno sforzo sovrumano, cerca di abbozzare un sorriso per mascherare il dolore.
Si avvicina la sera e già si tolgono gli striscioni ed i pali di protezione: l’uno prende a braccetto l’altro e si avviano, raccontandosi le loro cose. Un giornalista, che ha seguito con cura la gara, chiede al giovane tanto appassionato se è un ammiratore dell’atleta ed egli risponde con voce tremula e commossa: “Sì, ma anche suo fratello.”
Questo è lo sport, qualcosa di bello e gentile, fatto di forza di volontà e di buoni sentimenti, qualcosa che ti avvince, che ti esaspera, ti stanca e ti rallegra. Qualcosa che la vita vuole, perché è vita.