La vita in un minuto
La penna nella mia mano ha avuto un fremito, un’incertezza nel continuare a scrivere, ma la mente ordina e lei deve obbedire. Non è facile, ma ora il tempo è maturo per lasciare scritto, nero su bianco, ciò che accadde quella notte di tanto tempo fa.
Era al tramonto, l’ora in cui le ombre si allungano fino a diventare aguzze ed abiette forme inesistenti. In auto percorrevo la strada nella speranza di rientrare in fretta a casa. L’intensità del traffico, con i clacson e le frenate brusche, mi lasciava del tutto indifferente. Quella che si stava delineando non era una sera come le altre. Ero stanca, come sempre, ma quella vita l’avevo scelta io e non potevo incolpare nessuno se l’azienda mi teneva testa con i suoi molteplici impegni e le interminabili riunioni in ufficio.
Fabio mi incolpava d’aver sposato anche il lavoro. Ma erano state la responsabilità e la serietà ad avvilupparmi in quegli inevitabili incastri, che non mi concedevano più di respirare.
E Fabio aveva voglia a criticare! Io lo facevo anche per lui, per noi, per il nostro domani.
Il traffico andò snodandosi, ed io imboccai la salita. Era una sera diversa, si, lo era. Inconsapevolmente mi sfiorai il ventre ed il cuore accelerò il suo ritmo. Due battiti divennero quattro, perché dentro di me, ora, cresceva un bambino.
Due sentimenti contrastanti fecero a pugni, a mia insaputa.
Il primo era l’amore. Per me, per mio marito, per ciò che cresceva in me.
Il secondo era la paura. Per me, per mio marito, per ciò che cresceva in me.
Forse, mi dicevo, questa creatura arriva al momento giusto!
Ma sì… mi riposerò e rinsalderò il mio rapporto con Fabio…
Ultimamente lui è sempre irritato. Il lavoro che vacilla, le insoddisfazioni, e quegli sguardi nostalgici al sax, suo vero e primo amore, abbandonato per insicurezza, forse pigrizia, ma certamente incostanza.
Mentre formulavo questo pensiero, le note di ‘The bird’ di Charlie Parker, mi riportarono sul sedile dell’auto. Era la suoneria del cellulare che avevo impostato per Fabio.
“Oriana? Tesoro, dove sei?”
“Quasi sotto casa”
“Davvero? E come mai così presto?”
“Ti spiegherò dopo. Tu a che ora arrivi?”
“Stasera un po’ più tardi, ma non oltre le nove. A proposito, ho ritirato io la posta. Il portiere mi ha consegnato tutto stamane. Quindi stai tranquilla. La tua preziosa corrispondenza è in buone mani!”
“Va bene, ma non tardare molto. C’è qualcosa di cui vorrei parlarti.”
“Spero nulla di grave.”
“Appena sarai a casa lo saprai!”
Riagganciai senza aspettare una risposta, ma lo facevo quasi per abitudine. Lui lo sapeva bene, era il mio modo di fare.
Lentamente imboccai il vialetto di casa. Il cielo, carico di nuvole basse e pesanti, sembrava foriero di tristi presagi. Persino il palazzo mi trasmise un senso di inquietudine. Entrai velocemente nell’atrio, accompagnata solo dal ticchettio dei miei tacchi sul pavimento. Spinsi il pulsante dell’ascensore e respirai a fondo per calmarmi da un’ansia improvvisa, ma sapevo bene che le donne in attesa spesso venivano aggredite da una sorta di insopportabile depressione. Quindi razionalizzai ed infilandomi nella cabina, mi dissi che non avrei consentito alla mia creatura di cambiare ciò che in me era perfetto: l’equilibrio.
La casa mi accolse.
Chiusi l’uscio alle mie spalle, accesi la luci e gettai la borsa sul tavolo all’ingresso. Scalzai i tacchi ed a piedi nudi andai verso la cucina. Tirai fuori un prosecco e lo versai in un calice. Avevo giurato al medico di non bere e non fumare, ma lo avrei fatto dopo quella sera. Era stato un compromesso abbastanza insoddisfacente, ma inevitabile, almeno per il momento. Con il flute tra le mani, mi diressi in camera da letto. Mi spogliai, guardandomi nuda allo specchio. Di lì a poco sarei cambiata, ma era naturale. La gravidanza è un insolubile mistero, ma non beneficiare di quella esperienza sarebbe stato quasi come vivere a metà, ed io non avevo intenzione di lasciare per strada qualsiasi cosa fosse in mio potere di fare.
Guardai l’ora: le sette. Era abbastanza presto, quindi decisi di fare un bagno e preparare la cena. Ritornai nell’ingresso, recuperai la borsa e tolsi le scarpe dal pavimento. Fabio non sopportava il mio disordine e non mi andava di farlo irritare. Spensi le luci e mi diressi nuovamente nella mia camera. Presi dalla borsa il cellulare e lo posi sul letto. Sistemai i vestiti nell’armadio, diedi un’occhiata soddisfatta a quell’insolito ordine e mi infilai nel bagno.
Sali profumati, candele, le mie piramidi di quarzo ialino, ma un’oppressione nell’anima. Cos’era quel velo di tristezza che mi copriva ogni volta che non ero impegnata in qualcosa? Era il silenzio della casa? Forse avrei dovuto accendere lo stereo, di là in camera da letto. O era l’arrivo del destino? Guai a prendere consapevolezza della sua esistenza. Da quel momento tutta la tua vita è tra le sue avide mani. Il destino è solo beffardo, ironico, bizzarro, fatale. Tutti aggettivi poco interessanti. Il destino non è mai intelligente o seducente. Eppure è il futuro, semplicemente quello. Presi fiato e mi immersi. Rimasi sott’acqua qualche secondo e riaffiorai. Ed ancora quel silenzio, interrotto solo dal rintocco del campanile della chiesa. Passarono alcuni brevi minuti, quando mi parve di cogliere un rumore di là, nella stanza di fianco. Lentamente mi voltai in modo da guardare verso la porta. Mi sporsi dalla vasca. I capelli gocciolarono e l’acqua spense una delle candele. Dritta come un fusto, restai ad ascoltare nel silenzio. Ancora un rumore secco, preciso. E l’ansia di nuovo allo stomaco. La cosa più naturale sarebbe stata quella di pensare a Fabio, ma io sapevo che non era così. Lui mi avrebbe chiamata, o messo su la musica. C’era un intruso di là, non mio marito. In silenzio uscii dalla vasca. I miei piedi incerti toccarono il pavimento e stridettero sulle mattonelle. Rimasi per un istante davanti alla porta con la paura di guardare, ma dovevo sapere. Quando mi chinai a spiare nella toppa, il terrore mi attanagliò l’anima. Nella stanza, di fronte a me, c’era un uomo con il volto coperto da un passamontagna. Portava i guanti e si muoveva agilmente. Tirava via i cassetti, spostava i soprammobili e sfogliava tra le carte. Cercava qualcosa e la cercava dappertutto. Dalla toppa potevo vedere i suoi movimenti. Ero certa che credesse d’essere solo in casa. Passava da una stanza all’altra, con una torcia tra le mani e io benedissi la precisione di Fabio, che mi costringeva a lasciare tutto in ordine e al buio. Ora, nel mio nascondiglio, respiravo a stento. Tremando mi accucciai al lato della porta. Avevo poco tempo per pensare. Il bagno era ricavato all’interno, quindi non potevo chiedere aiuto. Non avevo forbici, né alcun tipo di arma e se avessi chiamato qualcuno con il cellulare, sicuramente lui avrebbe sentito. Ma in quell’attimo mi resi conto di non avere il cellulare con me. Sgranai gli occhi sgomenta e riguardai attraverso la toppa.
Il telefonino era sul letto, lì dove lo avevo lasciato. Dall’angolo di stanza che riuscivo a vedere, osservai il luccichio del display. E fu allora che l’intruso entrò nella camera da letto. Paralizzata, come un segugio me ne stavo acquattata, con il cuore impazzito che se ne fregava di obbedire alla mia calma. Dovevo aspettare, non potevo fare altro. I minuti sembravano ore. Sul mio corpo le gocce d’acqua si mischiarono al sudore e fui scossa da brividi di paura.
Calma Oriana… stai tranquilla… ora andrà via… Dio mio, fa’ che se ne vada…
Stai buona… resta in silenzio… pensa al bambino…
Chiusi gli occhi e attesi. Mi mancava l’aria. Temevo che il vapore dell’acqua uscisse, rivelando la mia presenza allo sconosciuto. E sussultai, quando il vento fece sbattere una finestra in fondo al corridoio. Mi tirai su e guardai di nuovo. L’uomo sembrava sparito. Tesi nuovamente l’orecchio. Nulla. Lentamente il cuore riprese il battito normale e la speranza fece capolino.
Attesi in silenzio.
Ogni attimo sembrava un’eternità.
Pian piano mi alzai. Tremando raccolsi l’accappatoio e lo infilai. No, non sarei uscita. Avrei aspettato anche tutta la notte, ma non mi sarei mossa dalla mia prigione. E solo allora avvertii il freddo e sentii scorrermi le lacrime sul viso. Disperata, allacciai le braccia intorno al corpo. Frammenti di vita mi passarono davanti e girarono vorticosamente, fino a nausearmi. Io, da sempre sicura di me, certa delle mie scelte, consapevole del mio percorso, semplicemente, non avevo mai considerato che la mia ‘perfetta’ vita potesse finire in un minuto. E sentii tutta la spocchiosa sicurezza piombarmi addosso come un castello di carte. Ero sola, disarmata, prigioniera nella mia stessa casa…
…ma cos’era quel ronzio?
Oh mio Dio… No!
Dalla toppa osservai il cellulare sul bordo del letto. Si mosse vibrando silenziosamente… e le note di The Bird invasero la casa.
Fabio!
Fu un attimo. Sbucato dal nulla mi ritrovai davanti l’intruso. Osservò il cellulare e poi il mio nascondiglio. Sono certa che i nostri occhi si incrociarono in quell’istante e io, nonostante il buio, vidi uno scintillio maligno nei suoi. Come una bestia allargò le braccia e si precipitò verso di me. Mi misi di spalle alla porta tentando di bloccarla, ma lo sconosciuto piombò su di essa con una violenza tale che un urlo mi uscì dalle labbra. La porta vacillò. A spallate, sempre più violente, accompagnandosi nello sforzo da un suono gutturale intenso, come quello di una belva inferocita, lui, continuava a buttare giù la porta. E non è vero che non si pensa a niente in quegli attimi. Io ero in preda a mille pensieri. Escogitavo una difesa, volevo proteggere il mio bambino e pensavo a Fabio, al suo sorriso, alla speranza che arrivasse in tempo, ma più di ogni altra cosa, volevo farla finita, il più in fretta possibile. La serratura saltò ed io caddi all’indietro. Lo sconosciuto entrò ansimando ed io indietreggiai terrorizzata. Puzzava di sudore. Il suo tanfo mi arrivò dritto alle narici. Era tutto un incubo. Spingendomi sui gomiti arrivai al bordo della vasca e mi alzai. Diedi un urlo disperato per tentare di spaventarlo, ma lui avanzò determinato. E allora io lo aggredii, tentando il tutto per tutto, tirando calci e pugni, appigliandomi con le unghie al suo giubbino, ma lui con un manrovescio mi alzò di qualche centimetro, facendomi di nuovo cadere a terra, un metro più in là. E senza esitare mi fu addosso. Le sue mani strinsero il mio collo con una violenza inaudita. Sentivo la gola rompersi come se fosse di vetro e l’aria iniziò a mancarmi. Dagli occhi scesero calde le lacrime e mentre i miei piedi sbattevano convulsamente per terra, le mani tentavano disperate di liberarsi da quella stretta che si stava portando via la mia vita.
Era finita. Le mie braccia lasciarono quelle dell’assassino e caddero mollemente a terra. I miei occhi guardarono il soffitto. Oltre quelle mura c’era il cielo, sapevo che era lì, ma non mi apparteneva più, ormai. Il braccio ebbe un tremito e sfiorò qualcosa di fresco, familiare. La piramide di quarzo era caduta accanto a me nella colluttazione ed ora la mia mano la toccava. Un barlume improvviso schiarì l’ultimo istante della mia vita. Strinsi la piramide e con un unico gesto rapido colpii violentemente la gola dell’assassino. Un fiotto di sangue schizzò sul mio accappatoio e lui mollò la presa. L’odore pungente del ferro si mischiò a quello del suo sudore ed io, tossendo e respirando a bocconi, fui presa da un’ incontenibile nausea. L’assassino si strappò via la punta dal collo e un rantolo uscì dalle sue labbra. Tentava di tamponare la ferita, ma il sangue continuava a spillare copioso sulle sue mani. Scivolai via da lui rapidamente. Ero terrorizzata, ma avevo ora una speranza. Calpestai la porta del bagno in pezzi, noncurante delle schegge che mi entravano nei piedi e, senza neanche voltarmi a guardare l’assassino, non ebbi alcun dubbio su cosa fare. Afferrai il cellulare, e formai il 113. Gli agenti sarebbero arrivati subito. Ora dovevo solo rintracciare Fabio, prima possibile. Mentre lo chiamavo mi sfiorai il ventre. Avevo salvato me stessa e la mia creatura e non provavo alcuna pietà per il mostro che voleva portarsi via le nostre vite. Al primo squillo Fabio non rispose e non lo fece neanche al secondo. Poi arrivò il terzo squillo.
Dal bagno ‘Satisfaction’ la suoneria che Fabio aveva impostato per me, risuonò sempre più forte.
Dapprima non compresi cosa stava succedendo e un sorriso ingenuo mi spuntò sul viso. Fabio era di là ed io non l’avevo sentito? Ma poi un pensiero orrendo sfiorò la mia mente.
Come ipnotizzata seguii il suono e mi ritrovai davanti alla stanza da bagno. Dalla tasca dell’assassino il cellulare di Fabio squillava e squillava…
Il telefonino mi cadde di mano rompendosi sul pavimento. Il suono si interruppe ed io rimasi ad osservare sconvolta quel corpo senza vita. E mi appigliai al dubbio. Forse Fabio era stato rapinato, o forse l’aggressore aveva trovato il suo cellulare per caso? Tutto era lì, davanti ai miei occhi. Non dovevo fare altro che tirare via il cappuccio. Vedere, capire.
Tremando mi avvicinai al corpo.
Si… la statura è la sua… ma no, non può essere…
Esitando, guardai stordita quell’essere davanti a me. Mi inginocchiai e poggiai la mano sul passamontagna.
Non puoi fare altrimenti… avanti… guarda… ti voleva morta!
Un gesto rapido, e glielo sfilai.
Gli occhi di Fabio, all’indietro come se fossero fuori dalle orbite, non potevano mentire. Un urlo strozzato mi sfuggì dalle labbra. Sconvolta indietreggiai senza staccare gli occhi da lui, dall’uomo che diceva di amarmi e che senza esitazione aveva tentato di uccidermi. E per cosa? Per avere i miei soldi? E mi sorpresi ancora osservando il cappuccio madido di sangue. Lo aveva indossato per vigliaccheria, per la paura di affrontarmi a viso aperto? O per pietà, per evitarmi di scoprire nell’amante l’assassino?
Non lo avrei saputo mai. Ma la cosa che rimarrà per sempre vivida nella mia mente, la più agghiacciante di tutte, furono le sue labbra, livide e senza vita, che accennavano un ghigno malvagio, segno palese del lato sinistro del suo cuore.
Ed ora, tesoro mio, passata la sbronza dell’adrenalina, passato più di un anno dall’accaduto, mentre ti osservo con amore, nel caparbio tentativo di infilare un cubo in una forma triangolare, io scrivo lasciandoti custode della verità, affinché tu possa forgiarti come me, possa essere un domani forte, come me, ed andare avanti nonostante il dolore, nonostante le incomprensioni e nonostante le lotte di una vita difficile. Ma, soprattutto, mi aspetto che tu sia preparato ad affrontare un futuro che non dimenticherà mai che tu, figlio mio, sei stato generato da due assassini.