Su: La vita delle Gocce, di Ciro D’Acampo
Io, per mia abitudine, quando devo recensire un libro, uso leggerlo un paio di volte. La prima per godermelo e la seconda, che è quasi sempre un bel ripasso, se non addirittura una rilettura completa, per individuarne le peculiarità e la tecnica di scrittura. La prima lettura, di solito, è quella che apre la strada all’accumulo interiore delle sensazioni e delle emozioni provocate dalla vicenda e spesso, quando mi trovo vicino al caminetto con un bel bicchiere di vino rosso tra le mani, permetto che le parole fluiscano indisturbate dentro di me e lascio che, quando posseggono le giuste prerogative, attraversino la mente e si riversino nel cuore in maniera spontanea.
Le parole, ecco, sono un mezzo che, per essere considerato impregnato di arte, per avere cioè quella capacità di scivolare dentro di noi e di portare bellezza , arrecando distensione, devono avere necessariamente anche la forza di bucare quella corazza dura che riveste la nostra anima e che a volte si rinforza giorno dopo giorno. Le parole posseggono la capacità di demolire e di liberare quello che c’è all’interno della corazza,cioè l’uomo, e di renderlo libero di respirare e di cibarsi delle immagini che possono scaturire da una trama interessante. Accingendomi a una seconda lettura di questo libro di Ciro D’Acampo però, devo dire che alcuni miei schemi sono un po’ saltati, perché, come nella prima lettura, anche nella seconda, che non è stata affatto un ripasso, mi sono trovato a lasciarmi trasportare nuovamente e a dover aspettare che in me si accendessero quelle scintille che fossero in grado di dare il giusto imput, atto a decifrare i registri narrativi del nostro autore.
Bene, ad un esame attento e diciamo piuttosto generale sull’approccio alla scrittura del D’ Acampo, direi che egli è capace di ricreare un mondo reale, cioè il mondo, attraverso la messa in scena di pochi personaggi. Nella fattispecie, questa è una grande qualità per uno scrittore, perché a volte, per dire tutto, basta attenersi a quello che abbiamo a disposizione, senza andare a cercare ispirazioni o argomentazioni chissà dove, e basta riversare la nostra attenzione su ciò che ci portiamo dentro, sulla nostra esigenza di doverlo espellere, chiamando in causa anche le persone che hanno fatto parte del nostro passato e che hanno contribuito alla nostra formazione di persone, di esseri umani, più che di scrittori o di scrittrici. Questo è, credo, quello che accade nel rapporto tra la ‘ La vita delle gocce ‘ e il suo autore, il quale, come afferma egli stesso, scrive sotto dettatura della vita. In questo libro i personaggi principali sono tre: Gabriele, che è il protagonista principale e la voce narrante, innamorato di Piero, suo amico d’infanzia e protagonista a sua volta, e Loredana, sorella di Gabriele, alla quale, come personaggio letterario, viene affidato in qualche modo l’incarico di risolvere il difficile e complicato rapporto tra i due uomini, di cui Gabriele sembra esserne maggiormente vittima.
E dunque, la vicenda si svolge in una città che,anche per via del fatto che non ne viene mai rivelato il nome, resta avvolta nel mistero. Pensando al testo come rappresentato in uno scenario teatrale, cosa che peraltro , a mio modesto avviso, si adatterebbe molto bene ad esso, ho avuto facoltà di immaginare, così come vengono raccontati, questi tre personaggi che vagano da una parte all’altra di un qualche ambiente cercando di venirsi incontro senza riuscirci, perché ognuno è troppo invischiato o troppo occupato a risolvere i propri problemi. In questa mia relazione però, sento che per far luce sul testo c’è bisogno di semplificare e diciamo che in linea di massima ciò potrebbe avvenire nel modo seguente: Gabriele vorrebbe una vita con Piero. Piero, pur amandolo a sua volta,ha grandi impedimenti, alla fine arriva Loredana, che esce da un matrimonio fallito, ed entra al posto di Gabriele nella vita di Piero. Semplice quindi ma, a mio avviso, non abbiamo rivelato nulla, perché le vere perle contenute in questo scrigno sono ben altre e sono contenute proprio nel modo che ha l’autore di raccontare la vicenda.
Gabriele naviga in una specie di sospensione fatta di una vita ancora non realizzata e di sentimenti non soddisfatti. Egli ripesca nel passato come alla ricerca della sua identità e ripensa ai primi approcci con Piero, a questo rapporto i cui contorni sono confusi tra amore e amicizia, pensa al difficile rapporto con suo padre che, una volta scoperte le tendenze omosessuali del figlio, lo allontana, trasferendolo in un’altra città. Quando Gabriele torna, trova Piero ormai sposato ma i due continuano a frequentarsi. Nel presente della storia Piero è ormai separato ed è vittima di una strana malattia grazie alla quale ha perso la memoria del presente e dell’immediato, nonché la capacità di proiettarsi nel futuro. Egli non ricorda appuntamenti e impegni mentre è vittima di una valanga di vicende provenienti dal passato, che a volte lo travolge. Per tener fede ai suoi impegni li scrive su un’agenda, che è diventata una specie di memoria di riserva nel vero senso del termine.
Un giorno, dopo che ha tenuto ospite a casa sua Piero per parlare di questi suoi problemi, Gabriele trova l’agenda dimenticata sul divano, non resiste alla tentazione di leggere e da qui scaturiscono gran parte dei turbamenti raccontati in seguito. Il tutto si svolge tra approcci mal riusciti e appuntamenti che non sortiscono mai l’effetto sperato, cosa che dona al testo un qualcosa che ha tutto il sapore di una pacata disperazione , al cui orizzonte si affacciano però continui sospetti di cambiamento, il tutto come fosse, tanto per usare una metafora, una pietanza cotta a bagnomaria in una pentola, sotto la quale bolle incessante il fuoco della vita. Tornando al registro narrativo ‘La vita delle gocce è un libro ricco di immagini interiori e di personaggi che vivono nelle pagine sostenuti dalla sapiente descrizione delle proprie paure e, in qualche caso, delle proprie speranze, che siano esse disilluse o reali.
Riguardo all’ambientazione , vorrei sottolineare quanto essa diventi evanescente sotto i colpi del continuo evolversi della scena intima, che prende il sopravvento benché da alcuni passaggi saltino fuori nitide le immagini dei luoghi, come l’appartamento del protagonista principale, ad esempio , che appare immerso in una solitudine quasi senza tempo, o degli ambienti dell’ospedale , che esprimono tutta la loro realtà, nonostante qui siano luoghi di passaggio e semplicemente funzionali alla trama del romanzo, o del mare, di cui viene citato solo il nome, ma del quale si avverte il respiro, o ancora dei bar, dove vanno a prendere consumazioni o fissano degli appuntamenti mentre , come dice l’autore stesso portando alla mente un’immagine bella e al contempo inconsueta: il sole scivola lungo la sedia fino a morire in una pozza grigio chiaro ai piedi del tavolo.
A proposito di teatro, cui facevamo accenno prima, il libro contiene dunque una sceneggiatura scabra, che alla mia mente è apparsa composta da neri contorni e da linee rette che sfumano verso un infinito continuamente a portata di mano, ma non per questo banale o poco congruo. Alternati a brani estremamente intimistici ci sono inoltre pezzi in cui il lettore è riportato a una realtà concreta , anche se venata da una piacevolissima carica di sentimenti , come nel brano in cui Gabriele precipita nel passato e ricorda il contesto familiare, dove l’autore descrive gli ambienti e i contrasti col padre, che fortunatamente sono attenuati da una commovente figura materna, attenta a salvaguardare la sua anima sensibile, la sua crescita e quindi la sua formazione futura di uomo. Il punto saliente, quello che permette al lettore di entrare nell’anima di questo testo però, rimane sempre l’analisi interiore operata soprattutto dal personaggio narrante, che è Gabriele, il quale penetra nei suoi malesseri fino in fondo, esamina il suo vissuto e il suo probabile ( e a volte impensabile) futuro, facendoli assaporare anche al lettore durante tutti gli stadi di questo percorso così attentamente e, devo dire, così mirabilmente descritto dal D’Acampo.
(dal capitolo v, pag 57)
La domenica si alzò con il volto corrucciato. Rimasi a letto ad assaporare fin che potevo i miei pensieri molli, seguendo la luce che si faceva largo un po’ alla volta dietro le tende, provando a riprendere lo spazio vuoto accanto al mio cuscino, libero dall’angoscia che lo assillava ogni sera. Restai a fluttuare nel vuoto con la mia coscienza attutita, a respirare la serenità immotivata, l’eco di una felicità che annuncia e non ricorda , prima che i pensieri annullassero ogni parvenza di tranquillità sbattendomi in faccia la realtà fasulla della mia esistenza, la solitudine senza prospettive, il futuro senza futuro della mia malattia.
Queste analisi o constatazioni dello stato d’animo, continuano per tutto il libro, dall’inizio alla fine,senza mai renderlo stancante , finendo addirittura per costituirne la sua vera ossatura . Esse tirano dentro l’attenzione precipitandoci in un mondo ben difficile da spiegare, un mondo che sembra chiuso dentro a un’ampolla di vetro , un piccolo universo composto da pochi personaggi in cui, e questo è il bello, tutti noi possiamo bene o male rispecchiarci. In copertina, l’immagine dell’ Uomo con bombetta , memore dell’opera intitolata La grande guerra di Renè Magritte, possiede una clessidra, ed è emblematica,in quanto, in riferimento alla Vita delle gocce, è proprio il tempo il solo elemento che può sciogliere e diluire i grumi dell’esistenza e di restituirle i giusti parametri, perché la vita possa continuare i suoi percorsi. Tra scuole, appartamenti, uffici e ospedali, continuamente prede dei loro pensieri, delle loro vite da risolvere, corrono e si rincorrono questi tre personaggi come la vita delle gocce su un vetro in un giorno di pioggia. Essi, coi loro travagli, formano e danno luogo a un’impalcatura che corre a sua volta verso il finale, sottoforma di un mosaico interno che va continuamente ricomponendosi e sfocia finalmente nella prospettiva serena di una vita normale.
Roberto De Luca