Maria Rizzi su “Nubifragi e arcobaleni” – di Flavio Provini

Maria Rizzi su “Nubifragi e arcobaleni” – di Flavio Provini – Marzia Carocci Editrice. Ho ricevuto in dono la Silloge del caro Flavio Provini, artista milanese che ho avuto la gioia di premiare nel maggio 2023 al nostro premio “Voci” Città di Roma, dal titolo “Nubifragi e arcobaleni” – 2021 – 2023, e leggerla ha rappresentato un viaggio nel mondo eracliteo dell’armonia dei contrari, non tanto per il titolo, sappiamo bene che le burrasche sono propedeutiche agli archi di colori nelle pozze d’acqua, nelle fontane, sullo schermo del cielo, quanto per la capacità di trattare tematiche forti, di carattere sociale, senza intingere la penna nel sangue. Quest’autore, a mio umile avviso, sa calarsi nel dolore con passo lieve, quasi danzando, forse consapevole che il giunco e la rondine sono più eterni della guancia dura di una statua. Il libro è corredato di foto simili ad acquarelli, che accompagnano i versi, accentuando la sensazione di dolcezza e rendendo viva, pulsante la pietas che permea i componimenti. Provini attinge al metro classico senza esserne schiavo. Sa modernizzarlo, renderlo vitalistico, libero. La lirica che dà inizio al testo conferma l’impressione del viaggio. “E resterà sul tempo che verrà /l’alone flebile ma permanente /di un cerchio intorno / a un punto di partenza” – tratti da “Di questo nostro andare”. Quattro superbi versi, cerniera finale del testo, atti a riprendere la citazione in esergo di T.S. Eliot del cammino che ci permette di comprendere il luogo dal quale siamo partiti, le origini. Nell’andare visitiamo noi stessi, la scintilla di eternità che ci è data in dote, e il poeta, questo Poeta, sa rompere gli stampi, non si vergogna di scoppiare a piangere in mezzo alla strada. La sua tensione alla partecipazione autentica all’altrui infelicità, investe i caduti della Grande Guerra, i reduci rinchiusi nel manicomio di Montebello. “Ti visita il neurologo di turno / sguardo di rabbia, muscoli di piombo / Il gelo del Carso non si scioglie / all’alba come brina sulle foglie, ti lascia un patrimonio di dolore / ed un nomignolo scevro d’onore:/ ‘scemo di guerra’, il marchio per la vita” – tratti da “Scemo di guerra”. .La brutale definizione si riferiva allo shoc post – traumatico, una condizione che colpisce quasi tutti i sopravvissuti ai conflitti, vittime di lacci intrecciati e insistenti richiami del passato. La guerra è rimasta incistata nelle loro anime. Raramente ho letto tante liriche volte ad accarezzare le storie dimenticate, e quelle tristemente sconosciute dei conflitti, dei confini, dei lager. “E sul silenzio musica infingarda / stendeva le sue note tra le mura / per fare da coperta ai mille rantoli / di chi attendeva l’ultimo respiro” – tratti da “Chissà che cosa videro quegli occhi”, versi dedicati alle vittime dell’ex Risiera di San Sabba, lager triestino, i cui forni crematori furono fatti esplodere dai nazisti per occultare la prova della sua esistenza. Provini posa il suo canto sulle foibe, sui 184 bambini della scuola “Francesco Crispi”, saltata in aria per un errore degli Alleati a Gorla, con note da brividi : “saremo eterni con denti da latte, / alle narici solo il profumare / dei grembiulini freschi di lavanda, / stracciati come inutile minuta / dalle comete gravide di buio” – tratti da “I Piccoli Martiri di Gorla” E si tratta davvero di note, di un atteggiamento sofferto e silenzioso dell’artista, che si mostra compassionevole, abbraccia le sofferenze, ma non urla, non inveisce, non ferisce. Nelle poesie dell’Autore milanese si coglie il peso della gentilezza. Nel linguaggio lirico, come in quello quotidiano, il garbo può divenire strumento di denuncia e uccidere il ghiaccio dell’indifferenza più di mille grida di rabbia. Flavio Provini pratica la compassione, sentimento diverso dalla pena, perché in quest’ultima la persona si sente superiore agli afflitti, mentre nella compassione il cuore freme e si riconosce simile a coloro che hanno patito e patiscono dolori. Lo dimostrano componimenti come “Un fiocco misero di polvere”, dedicato a un clochard, che recita: “Ti guardo attento mentre provi il sonno / per annusare il sogno di un pianeta / lontano dalla terra che ti opprime / e che ti vuole un corvo di passaggio…” , i versi per il malato di SLA , quelli per la tetraplegia, concepiti addirittura in prima persona. Le quaranta liriche di questo testo che scuote le fronde del cuore, sono una collana di ostriche posate sui greti delle esistenze di noi lettori. La cifra stilistica consente di naufragare dolcemente nella grande Poesia, che evoca i padri della letteratura, i contenuti rappresentano spunti di riflessione e superbi insegnamenti. Le perle rilasciate dalle ostriche sono per i diseredati; per le persone comuni, come il fioraio; per gli ‘scorci di paese’, per i non luoghi come il ‘centro commerciale’… E il canto si leva, com’era presumibile, per un bimbo autistico, “Alex delle stelle”: “Esiste, lo so bene, il tuo isolotto / ma è un’arpia quotidiana la distanza /tra il porto dove incaglia la mia nave / e il mare aperto dei gabbiani muti / perduti negli sguardi delle stelle”; e per “Il tempo dimenticato (dell’Alzheimer)”, scritto in prima persona: “Prima una donna mi ha chiamato mamma /e mi è sembrato quasi che piangesse / o forse era un riverbero solare / negli occhi suoi oliva come i miei”. Tra i segreti e i riflessi da portare alla luce tra le perle v’è la rivelazione de “La buone madri”, un argomento, in apparenza inflazionato, che il Poeta, visionario, in quanto dotato di potente vena creativa, rende unico, declinandolo al plurale, e inserendo nel titolo l’aggettivo ‘buone’. Con piccoli espedienti è messo in rilievo un aspetto determinante: non tutte le donne sono dotate d’istinto materno – non è una colpa – , e purtroppo esistono mamme apatiche, distaccate o anaffettive. “Le buone madri sanno defilarsi, / deviare il loro sole, dare passo, / ma sono sentinelle in ronda eterna / che aspettano in pantofole al castello”.Sarà che non mi sento un critico letterario, ma una persona che ascolta i libri fondendoli con il proprio respiro, ma sono certa che dopo aver chiuso per la terza volta questa Silloge continuerò a cercare Flavio Provini tra le righe dei prossimi testi, e soprattutto sullo spartito della mia vita. Maria Rizzi