Anima semiseria
Alessandro Da Soller
Non c’ è titolo migliore per questo libro di Alessandro Da Soller, che tra queste pagine svela, riga dopo riga, parola per parola, se stesso.
Traboccante di voglia di vivere, di irriverente ironia e di profondi sentimenti, l’autore presenta una racolta di racconti che fanno riflettere o strappano sorrisi, a seconda della tematica trattata. Sono completamente slegati fra loro, come se fossero dei brevi romanzi che compongono un patchwork deliziosamente colorato e brillante. Tra il serio e il faceto, lo sfacciato e il romantico, il sacro e il profano, vi presento dunque, alcuni di questi piccoli, grandi personaggi rossi di cuore e neri d’inchiostro. Ve li racconto appena, per non rovinarvi la sorpresa di conoscerli anche voi, uno ad uno, inghiottendoli come un respiro o assaporandoli come un canto agrodolce che arriva da lontano. O forse, dalla porta di casa.
In “Le settanta vergini di Cherif” Alessandro tratta il tema, attuale da troppo tempo ormai, del terrorismo di matrice religiosa. Lo scrittore non contestualizza il testo, ma lascia intuire che tratti la vicenda dell’attentato alla testata francese Charlie Hebdo, tristemente nota a tutti a partire dal gennaio dello scorso anno. Il punto di vista sviluppato però, è diverso da quelli che abbiamo sempre ascoltato ed è quello dell’attentatore suicida. Un kamikaze. Che parola strana, questa, abusata e utilizzata da millenni. Eppure, la sua traduzione letterale è così poetica: significa vento divino, anche se divino, il terrorismo non ha proprio niente. Lo sanno in molti, ma non i ragazzi che vengono mandati a morire, annegati tra le promesse di un’immortalità rubata, manipolata e distorta. Cherif nel racconto si fa delle domande proprie di un soggetto debole, condizionato, distrutto da privazioni e ignoranza. Eppure, forse, gli sarebbe bastata una carezza.
“Violante e Aldebrando” ci proietta in un’atmosfera “cortese”, in cui i cavalieri, l’arme e gli amori la fanno da padrona, dipingendo un affresco che ci catapulta direttamente tra i ciottoli del Medioevo, calpestati da dame imbellettate e servitori devoti. Si respira odore di polvere, sangue, ferro e libri ancora scritti a mano e si assiste alle vicende travagliate di una coppia che non riesce ad avere pace. Chissà cosa sarebbe successo se fossero nati in epoca contemporanea? Forse si sarebbero mandati un sms o magari una richiesta di amicizia su Facebook. Ma mai e poi mai qualcuno avrebbe potuto raccontare il loro tormentato amore.
“La santa dinamicità di un convento di clausura” l’atmosfera devia decisamente, o meglio, dirotta, verso un piccolo mondo fatto di penitenza e di preghiera. Ma ciò non ferma il nostro scrittore, che in questa narrazione scherza sulle incomprensioni nate con la tenera protagonista che, non conoscendo il mondo, è portata a concentrarsi sul microcosmo in cui è immersa. I dialoghi sono veloci e divertenti e giocano sull’equivoco, sempre dietro l’angolo e la grata. Dissacrante e ancora a tema è “Un tozzo di pane”, che espone un immaginario dialogo tra papa Wojtyla e Dio, in uno scambio di battute veloce, che gioca tra l’austero, il giocoso e il liturgico. Il divino si rende uomo e l’uomo resta tale, preparando un cammino che odora di fede, di dolore e di pane raffermo.
“Mi piace essere vivo” è un racconto molto profondo, in cui viene narrata, tra le righe, una parentesi vissuta dall’autore, che in un viaggio immaginario ripercorre la dolorosa esperienza della malattia e l’incontro sfiorato con la morte. È un vero e proprio inno alla sacralità della vita, che troppo spesso viene scambiata per uno scomodo e ingombrante fardello. In questo contesto Alessandro la celebra con le lacrime agli occhi, ripetendosi fino alla fine che esserci, ancora oggi, è meraviglioso. Sensazioni similari sono trasmesse da “Ti ho sposata senza chiedertelo”, dove viene raccontato lo struggente e non espresso amore di un malato terminale e le sensazioni di disperata consapevolezza provate da chi sa di non avere più tempo. Questo scritto dovrebbe essere da monito per tutti e a mio avviso è particolarmente rappresentativo della prosa e delle emozioni del nostro autore, che attraverso le sue parole grida al mondo la sacralità del diritto a essere felici. È un monito importante il suo, è una mano tesa verso la vita e un ringraziamento per essere, oggi, qui a raccontarlo. Con un bellissimo e grato sorriso sulle labbra.
“Non ci sei ma è come se ci fossi” si collega al filone del dolore, in un drammatico congedo dedicato al pensiero di un figlio prima ancora del suo concepimento. È l’idea del trapasso vissuta nell’incompletezza di non aver lasciato una traccia, una prosecuzione, un’orma che ricordi al mondo il passaggio di un essere umano che sta andando via senza aver ultimato il proprio percorso. È un racconto gridato, che macchia le pagine di inchiostro umido e parole ancora da pronunciare. Perdonami. Ti amo. Non voglio andare via.
“Una doccia di zyklon” è forse il racconto più duro, il nòcciolo di quell’anima seria in cui spesso Da Soller si immerge e ci sommerge.
L’ esposizione ripercorre gli orrori perpetrati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale dal punto di vista di una giovane che marcia verso una fine senza spiegazioni, motivi, né significato. Il racconto è straziante e assolutamente privo di colore, grigio come le pareti dei muri, come le divise degli assassini, come gli occhi muti dei prigionieri, come le note della sinfonia di Mozart che si disperdono nell’aria, come la terra brulla che è morta insieme a qualsiasi idea di giustizia e di perdono.
Ed eccoci al racconto dell’Alessandro musicista: “Meravigliosa stasera”, omaggio delicato e oserei dire, melodico, a Eric Clapton, nell’immediato momento in cui l’ispirazione coglie come un fulmine la mente dell’artista, regalandogli –e regalandoci- la bellissima Wonderful Tonight. Le immagini del racconto sono quasi sonore, ora gridate, ora sussurrate, e ci proiettano nei deliri delle vicende personali vissute dal Man of the Blues negli anni Settanta. Anni difficili, quelli, anni di contestazioni, di rivolte e rivoluzione, di droga, di abusi, di “Fate l’amore, non fate la guerra”, anni di bombe e di rivoltelle, di fuoco e di piombo, anni di grida e di silenzi, di voci e di canzoni che cantiamo ancora adesso.
“Emotività digitale” è un racconto molto complesso e articolato, che miscela un tema molto spinoso, quello del gioco d’azzardo, a una scrittura fantastica e colorata, in cui un flipper è animato da sentimenti e si sacrifica per il bene di un essere umano. Il concetto della marginalità è trattato in maniera sapiente, e fa in modo di non distogliere lo sguardo dalla sofferenza altrui, ma di avvicinarsi con garbo e in punta di piedi. Facciamo nostre le speranze, abbracciamo i mali e le afflizioni altrui, consci che un sorriso ha spesso la contropartita di un dolore, che a volte si camuffa da clown per non disturbare gli occhi di chi ha paura di guardare.
Caro Alessandro, per capirti basta leggerti. Vai dal nero al rosa, viri dal buio alla luce, sai di zucchero e di aceto, di latte mescolato col sale, a volte. Ma sei tu, nella penna e nel cuore.
Nelle parole e nelle note, nella carta e nella tua bella anima. Silenziosa ed esuberante. Insomma, semiseria.
Roberto De Luca:
su Anima Semiseria di Alessandro Da Soller
Leggendo il racconto dal titolo Una doccia di Zyklon, mi è venuto in mente, ed era inevitabile, ‘Se questo è un uomo’, il bel libro di Primo Levi che ho letto di recente. Viaggio non ad Auschwitz, come accadde al nostro connazionale, ma, probabilmente, verso Treblinka o a Sobibòr, che non erano campi di lavoro o campi di concentramento dentro ai quali si aveva, seppur remota, qualche speranza di sopravvivenza, ma veri e propri campi di sterminio, dove non c’era speranza di salvezza, e basti pensare che al solo campo di Sobibòr, che restò attivo per un anno e mezzo circa, ci furono soltanto 58 sopravvissuti tra le migliaia che vi erano giunti. Nel racconto di Da Soller è presente tutta l’angoscia di chi entrava e anche l’inconsapevolezza di ciò che li aspettava quando finivano sotto le docce di Zyklon B, il terribile gas usato nelle camere della morte.
Questo libro, intitolato a ragion veduta Anima semiseria per via della sottile ironia alternata al dramma, racchiude, oltre al già citato ‘ Una doccia di Ziklon’, una serie di racconti che parlano di esperienze dirette e indirette, vissute o interpretate, spesso con anima da protagonista, dal nostro autore. I racconti sono apparentemente slegati tra di loro, ma recano lo sguardo attento dello scrittore sul mondo di oggi e su quello del passato recente. 20 racconti in cui si ritrovano amore, guerra, malattia, religione, viaggi e impressioni sulla vita, ricavate come se lo stesso autore fosse seduto a riflettere, cercando di dipanare con la scrittura, la complicata matassa dell’esistere, mettendo in giusta luce il proprio pensiero, partendo dalla cosiddetta elaborazione tematica di cellule narrative, che reclamano di uscire dal buio della propria coscienza. A volte, chi si accinge a scrivere o a pubblicare una raccolta di racconti, pensa poco, o raramente, al messaggio globale che può fuoriuscire dalla propria opera. Egli può concentrare la propria attenzione su ognuno dei componimenti, cercando di dare senso a ognuno di essi, senza accorgersi che da tutto il libro è quasi inevitabile che esca un senso generale, che spesso travalica quelle che erano le proprie intenzioni. Ci piace pensare che anche al nostro autore sia accaduta questa cosa, e vogliamo dire che il senso che meglio si ricava dall’andamento complessivo di questo libro, è semplicemente che la vita vada vissuta in ogni minimo particolare, attimo per attimo, anche quando i protagonisti sembrano senza via di scampo.
A tale proposito citerei il racconto, di cui adesso leggerò un pezzo, dal titolo Non ci sei, ma è come se ci fossi :
‘’ Adesso invece sto pigiando sul freno, nella speranza che i minuti si facciano ore, e la scadenza si dissolva come un brutto sogno. Il momento peggiore è quando finisce l’orario delle visite. I parenti e gli amici tornano alla loro vita, mentre tu sprofondi nella solitudine di un ambiente, che non è ostile, ma disincantato, severo e sofferente. L’ospedale, dopo quegli attimi di compagnia, si riprende la tua anima, decidendo se restituirtela o meno. Mio dio, gli occhi di quel bambino… Ogni volta che
ci penso, mi viene un groppo alla gola. Povero cucciolo, come si sono
permessi di farti tutto quel male? Il tuo sguardo triste e intenso mi ha
costretto a distogliere il mio.
Ho immaginato che fossi mio figlio, e il cuore si è stretto in una morsa’’
In questo racconto, quello che conduce il lettore nelle stanze segrete dei sentimenti, è più che altro il mondo sospeso dell’ospedale e ci racconta di quando la vita sprofonda in un mondo ‘sotterraneo’, della cui presenza raramente ci accorgiamo, se non quando ci finiamo dentro, senza sapere se mai riusciremo a uscirne.
Ma veniamo ora al racconto Meravigliosa Stasera che, a mio avviso, risulta tra i più riusciti della raccolta. Questo, ispirato alla vita di Eric Clapton, il chitarrista inglese, mi sembra sia il più rappresentativo, soprattutto per quel che riguarda lo stile del nostro autore. Da Soller, a parte le vicende più dolorose cui abbiamo appena accennato, ama raccontare le cose che più gli stanno a cuore e, come in questo caso, ci riesce bene. In questo pezzo c’è un dualismo in presa diretta con la vita dell’artista in questione, una fusione letteraria perfetta tra musica e inquietudine, quella bestia nera contro la quale l’artista Eric sembra combattere da una vita, sorbendone i malesseri, ma anche usufruendo delle spinte verso l’alto che da essa si sprigionano. Come in molti altri racconti anche qui, si registra una vena di frizzante ironia, che in questo caso sembra assumere i toni concitati, o seri , di una vita in bilico tra pulsioni artistiche , luci della ribalta , voglia di intimità e una straordinaria attitudine a saper apprezzare e riconoscere la bellezza di una classe femminile ricca di quelle piccole scintille di vita che gli animi degli uomini sanno spesso cogliere, anche se sono pochi coloro che , attraverso l’arte o la musica, sono in grado di descrivere. Wonderful tonight , la canzone di Eric Clapton, che da’ il titolo a questo racconto, ha i toni rossi della passione e i toni scuri dell’insicurezza che da sempre , una bella donna, è in grado di sprigionare nell’animo di un uomo. Alessandro sa descrivere tutto questo e direi che, a sostenere questa sua particolare attinenza a narrare di certe situazioni, sia la sua capacità di mescolare tra loro i vari elementi di cui dispone, in questo caso, riguardo all’artista citato, la dipendenza da droga, il fuoco incontenibile dell’arte, la consapevolezza del successo mondiale e il sentimento prorompente per l’altra metà del cielo; e di farli coincidere in un unico grande contenitore, formato dai fogli su cui scrive, dai quali escono limpidi sia la figura dell’artista, che l’iter creativo che ha generato tale famosa canzone.
In Cromatismo in Lab, altro simpatico racconto che parla di musica, classica stavolta, per il nostro autore, è come dire che a volte, andando avanti nella didattica dell’arte, si può finire per recedere. E si recede in virtù del fatto che la tecnica stessa può arrivare a soffocare la scintilla creativa, che nasce direttamente da un’anima sensibile e ricettiva. Ale Da Soller lo sa e crea questo piccolo racconto quasi a difesa di questa tematica da sempre dibattuta in ambito artistico.
In Il chiasso assordante del silenzio, dove si racconta del terremoto avvenuto a L’Aquila nel 2006, ci sono almeno un paio di buone trovate. La prima, a mio avviso, è nel modo casuale in cui la protagonista si trova ad essere fuori casa all’ora x. La seconda è invece nel saper mettere in luce, con semplicità ed efficacia, tutti gli effetti negativi che sono conseguenza logica di una catastrofe e, oltre a tutte le altre cose, che sono ovviamente più importanti, qui si parla che è diventato difficile persino andare a prendere un caffè e della signora Maria che non è più la vicina di casa. Questo e altri piccoli drammi, ai quali spesso non si pensa, fanno da cassa di risonanza al dramma più grande, che è quello dei morti, e contribuiscono alla formazione di un assurdo silenzio pieno di chiassosi e terribili ricordi.
Ma val la pena citare ancora un altro racconto. Il nostro autore dispone pure di uno sguardo attento e meticoloso, che gli permette di scrutare i dettagli delle cose e degli accadimenti e di cui egli usufruisce reinventando, a modo suo,
contesti simili a quelli a cui ha assistito nella realtà, trasformandoli in storie dai contorni surreali, ma con una cellula interna molto ancorata al vero. Emotività digitale è il titolo di un altro pezzo molto rappresentativo di ciò che andiamo dicendo. In esso emerge un altro elemento in possesso del nostro autore, che è appunto l’invenzione, risolutiva, per certi versi, del racconto stesso. Una donna, bella , ma in gravi condizioni di indigenza, si ritrova schiava del gioco, ma , a un certo punto, ed ecco l’invenzione, una delle slot machine decide di andarle in soccorso e di scombussolare i propri algoritmi per aiutarla. Da Soller racconta, si infila e ci fa infilare nei drammi del vizio, e spiega con dovizia di particolari il funzionamento delle macchine, che non differisce molto dal funzionamento del cervello dei gestori delle sale. Alla fine del racconto, ricorre ancora una volta alla sua amata musica, inserendo nel testo il titolo di una canzone dei Rolling Stones, Time is on my side, passando così la palla al lettore, al quale, solo leggendo la traduzione di questo testo ( o conoscendolo) si illumineranno quelle lampadine che gli faranno scoprire il senso completo di questa storia.
Una cosa ravvisabile in Anima semiseria e che, ancora una volta, accomuna tra loro tutti questi racconti, è che, alla fine di ognuno di essi, non ci sia quasi mai qualcosa di compiuto ed, essendo le trame stesse di per sé molto esplicative, nemmeno qualcosa che lasci troppo riflettere, bensì, come in un indovinello, l’autore dona spesso il testimone al lettore, lasciando che sia lui a carpirne il senso, più o meno velato, ma sempre presente in ognuno di essi.