Prefazione di Jean Bruschini
La poesia di Angrisani è sostanziata di pensiero, prossimo per certi versi all’organicità dello spirito filosofico, soprattutto per la concezione della ragione corruttrice della natura. Nel contempo i suoi versi costituiscono veri dialoghi con sé stesso, a volte urlati o sommessi, contro le ipocrisie, le presunzioni umane e gli ottimismi della società attuale, in cui la visione realista e l’ineluttabile si fondono, come nella poesia dal titolo Alta Pressione: “…giornali parlano di blocco del traffico e veleni stabili nell’aria” o in Ultime della notte: “…una guerra asettica il denaro divora anche la notte”. Possiamo definire i versi di Angrisani “poesia della contemplazione e della memoria”, componimenti in cui luoghi, eventi e dimensioni notturne forgiano il pensiero e la parola. Uno stile libero, con strofe di diversa lunghezza, senza obblighi, come i concetti che esprime senza restrizioni mentali. Qui respiriamo la constatazione della vanità della speranza, quel suo personale e forte senso di opposizione-rassegnazione e l’inevitabile accettazione che troviamo, per esempio, in Descrizione voci e in altre poesie:
“…cosa cambia la vita è questa solitaria impresa e ha il suo bilancio impietoso con qualche inevitabile falso per andare avanti _”
(Descrizione voci)
“…guardare un muro bianco e volare lontano dove non possono prenderti…”
(Fine del colore)
Accennavo alla vanità della speranza, concetto più volte espresso in “Dentro. Dal deserto” da Angrisani, e che troviamo in toni forti. Uno spaccato di vita, una rappresentazione obiettiva del reale, in particolare quello degradato, in cui qui il poeta esecra illusioni e te le fa amare, non crede all’amore e te lo fa bramare, come nei seguenti casi, in cui si esprime con straordinaria obiettività e lacerante colore: “…Se potessi tutto il cielo questa sera prenderei con un respiro…” (Una sera dei primi di luglio)
“…preferisco avere l’impressione di dominare le cose forse dirò così quando sarò dall’altra parte…” (Sogni)
“…chissà se ancora oltre il grigio e il male ragazzi per strada si scambiano parole d’amore…” (Scarabocchi)
“…tutto quello che ho sono solo fogli e parole…” (Pop)
“…ero sicuro che la mia mano avrebbe tirato un po’ più su il mondo…” (Una fiaba)
La sua rappresentazione obiettiva del reale, che un po’ rievoca il verismo ma in modo decisamente meno brutale, racconta con scrupolo fotografico emozioni attraverso l’esaltazione mistica della poesia e del poeta. Angrisani, in Dentro. Dal deserto, ci presenta un io decisamente forte, benché nel risalto delle proprie debolezze, laddove la resa stilistica apparentemente priva di costrizioni, è il risultato di scelte e operazioni complesse.
Se è vero che il poeta è colui che, meglio di altri, vede, percepisce e comprende il rapporto tra l’uomo ed il mondo che lo circonda e sa come riproporlo per migliorare la società, allora gli slittamenti dei piani visivi di Angrisani ci offrono la lente per mettere a fuoco il mondo caotico e difficile che abbiamo costruito.
“…Io scriverò una rosa di parole sacre e tu non capirai”, dice l’autore in Preghiera quasi confessandosi, perché, per proseguire con le sue parole, tratte da Abbiamo trascorso giorni: “è duro continuare a dedicare la vita a ciò che gli altri dicono non esistere _”.