Il poema si staglia con la forza limpida di un’architettura simmetrica, sostenuta da due fuochi spirituali: due preghiere artesiane invocano acqua potabile che idrati interiormente e renda liquida ogni densità, che ogni stanchezza si sfarini in quiete, lievità, suoni tranquilli del mattino. Batte la lingua italiana accanto a quella inglese sulla stessa pancia del tamburo. E la mano che danza la scrittura è femminile. Anchequesto elogio.
(dalla prefazione di Anna Maria Farabbi)
Tre poesie tratte dal libro recensite da Nazario Pardini: nazariopardini.blogspot.it
1 Commento to “LA REGINA DI ICA – Daniela Raimondi”
Superbo e intensissimo poema in cui Daniela Raimondi si fa strumento per dare eco a voci di donna che non ne hanno avuta e dare corpo e voce alle loro parole, alle idee, al dolore o alla protesta: voci che, pur partendo da eventi privati e da riferimenti storici, assumono valore di appartenenza e condivisione universale al mondo femminile di ogni tempo. È un corpo vivo, nudo, dissacrato e mostrato nella sua completa vulnerabilità: ossa, sangue, saliva, latte, muscoli, organi interni, mani, ventre, feti e figli, su cui progrediscono il cancro, la paura e la violenza, opera il chirurgo, infierisce l’assassino, il violentatore, il boia e viene devastato da tagli, cicatrici, punti di sutura, rituali. Fuori da ogni retorica, descrizione inutile o metafora decorativa, il linguaggio dell’autrice esprime una forza comunicativa pulita, cruda e terribilmente carnale attraverso la gioia, il dolore, la consumazione, fino alla disperazione più estrema dei suicidi. Ogni volta che ama ”impasta una nuova morte”: dare la vita implica la fine della sua come di ogni creatura, così la poesia, che dona la luce e i “suoni tranquilli del mattino”, conserva ogni traccia, vince la malattia e si rivela strumento di resurrezione.
Superbo e intensissimo poema in cui Daniela Raimondi si fa strumento per dare eco a voci di donna che non ne hanno avuta e dare corpo e voce alle loro parole, alle idee, al dolore o alla protesta: voci che, pur partendo da eventi privati e da riferimenti storici, assumono valore di appartenenza e condivisione universale al mondo femminile di ogni tempo. È un corpo vivo, nudo, dissacrato e mostrato nella sua completa vulnerabilità: ossa, sangue, saliva, latte, muscoli, organi interni, mani, ventre, feti e figli, su cui progrediscono il cancro, la paura e la violenza, opera il chirurgo, infierisce l’assassino, il violentatore, il boia e viene devastato da tagli, cicatrici, punti di sutura, rituali. Fuori da ogni retorica, descrizione inutile o metafora decorativa, il linguaggio dell’autrice esprime una forza comunicativa pulita, cruda e terribilmente carnale attraverso la gioia, il dolore, la consumazione, fino alla disperazione più estrema dei suicidi. Ogni volta che ama ”impasta una nuova morte”: dare la vita implica la fine della sua come di ogni creatura, così la poesia, che dona la luce e i “suoni tranquilli del mattino”, conserva ogni traccia, vince la malattia e si rivela strumento di resurrezione.