In questa sua seconda raccolta poetica, che porta il titolo emblematico “Come foglie in autunno”, Ester Cecere appare più incisiva e coesa. L’esigenza di controllo sulla parola si fa più avvertita ed emozionata, pure se appartenente ad una scrittura che palesa fortemente il bisogno in sé di dialogare, di esternare il disagio accompagnando la scrittura con accenti suggestivi.
Sullo sfondo di un panorama denso di immagini e vivido per una coscienza lirica che lo simboleggia e lo coglie, vi è sempre trascritto a lettere cubitali un dolore, sordo, acuto, trattasi del dolore universale, trattasi della parabola più sofferta dell’intero pianeta. Non vi è gioia senza lacrime sembra tradurre la poetica di Ester Cecere, non vi sono sogni senza la sofferenza del risveglio.
… Questa poetica ha punte di pessimismo, ma non è mai oggetto di dolore dilacerante, non si consegna al disagio, al male ineludibili; non si lascia sopraffare dal contingente; lotta, fa sue le regole del gioco secondo le quali la vita va vissuta in funzione della conquista, per la sopravvivenza, nella finalità di un aldilà di Luce che brilli allo stupore del primo mattino, con la consapevolezza di esser(ci) proteggendo i nostri intimi pensieri dall’autocommiserazione, dall’autodistruzione e dalla compassione, deducibili da questi versi: “Mi riempio/ dello stupore dell’alba/ che di rosa tinge/ della notte le ombre,/ dell’eterno sciabordio del mare/ sommessa preghiera di ogni vivente…..”
… E ci pare una dichiarazione di Fede, di abbandono innocente e incantato, quasi un inno alla vita, perché ne esprima tutta la gratitudine, con lo sguardo rivolto al Trascendente che in quest’autrice si avverte sommesso, riservato, ma vivo.
Un anelito verso l’Alto, un panismo fatto di religiosità e pudore, di candore e abbandono al Mistero.
Dalla Prefazione di Ninnj Di Stefano Busà.
Nel commentare la silloge “Come foglie in autunno” reputo doveroso partire dalla superba prefazione della Professoressa Ninnj Di Stefano Busà e, in particolare, da tre righe di essa: “Audaci i nostri sensi ci indicano la rotta del cuore, che spesso percorre territori impervi, e tuttavia, continua a pulsare la vita col suo battito d’ala ferita”. Questi versi in prosa ci aiutano a orientarci nel mare delle emozioni di Ester Cecere, che in questo volume, si svuota in amore con commovente sincerità.
Il testo è introdotto da un verso di Ungaretti, il titolo stesso della raccolta ricorda Ungaretti e lo spirito dell’intero lavoro echeggia il grande Poeta. Nella lirica che dà inizio alla silloge le foglie che ’si stan/ come d’autunno sugli alberi’ nella celebre lirica “Soldati”, tendono a segnare la storia di un’esistenza, di ogni esistenza, staccandosi l’una dopo l’altra e la chiusa : “Quando al suolo giungerò anch’io come le altre?” è pervasa di un’attesa dolorosa che coinvolge e sconvolge i sensi.
L’intero testo ha un suo ’sentiero’. L’autrice si rintana, talvolta, in isole di ‘vaga primavera’, ma respiira un tempo che è teso ad alienare l’uomo, a renderlo creatura sola. Anche gli elementi del cosmo sembrano ‘lontani e distratti’, rispetto alle fatiche dell’esistenza. Ester ci conduce nel grembo della propria storia, rivelandoci segreti, rabbie, dolori. La forza dell’oggi, che probabilmente cela dolci fragilità, fame d’amore, ha le fondamenta nelle vicende antiche. Dardo rovente la lirica “Casa in affitto (a mio a padre)”, che come molte altre, dà ulteriore senso al verso ungarettiano, anche se lo inserisce in contesti quotidiani. E il progetto artistico di Ester Cecere è articolato con una consecutio, un senso del raccontarsi in versi, che porta lontano dal comune significato che viene attribuito alle sillogi. L’autrice inserisce, una dopo l’altra, con sapienza, le tessere magnifiche e sanguigne del suo mosaico. La narrazione in versi è, a mio modesto parere, un percorso di rara difficoltà. Occorre il filo che tenga unito il ‘logos’ e in Ester tale filo sembra essere il dolore. Con l’ago della sofferenza, l’autrice ricama liriche nitide, sorvegliate, che sfuggono alla gabbia metrica, ma mostrano padronanza dell’ars poetica e capacità di sbocciare al lirismo nella fruibilità.
L’arte della brevità è il connotato che esalta le doti di Ester, capace di tratteggiare in cinque versi una sublime poesia dedicata alla madre i cui ultimi versi recitano: “E troverei risposte/ nel silenzio dei tuoi occhi”. Le foglie del famoso albero sono i temi ricorrenti della silloge, mai trattati in modo retorico. Vi è qualcosa nei versi dell’autrice di innovativo, oserei dire di rivoluzionario. Canta
la propria vita e le esistenze dismesse, violate degli esuli, dei folli, con purezza incontaminata, concedendosi al lettore senza veli.
Nessun ermetismo, nessun ricorso a metafore ‘di protezione’ o a similitudini. Liriche intense, ricche di pathos, struggenti, tese come le stelle a trafiggere la notte e a indurre alla riflessione.
Si esce dall’avventura di “Come le foglie in autunno” più soli e più ricchi.
Maria Rizzi