Un giallo psicologico davvero inquietante, questo di Manuel Chiacchiararelli. Grande suspense, con risvolti interessanti sotto almeno due profili, quello sociologico e quello spirituale-misterico, tra di loro collegati. Perno e nodo della vicenda narrativa, una vexata quaestio, attualissima, se pure atavica, di spessore filosofico-teologico, giocata sullo scontro Natura-Cultura, e dunque sull’incompatibilità tra una visione animistica del mondo legata agli elementi, alle essenze numinose del creato, ed una visione feticistica del mondo stesso, legata all’artificio tecnologico, alle sovrastrutture culturali, ad uno stile di vita altamente falso e menzognero.
Da un lato la filosofia dell’essere, dall’altro la cultura dell’apparire. Da un lato la semplicità e la naturalezza, dall’altro le finzioni e i pregiudizi. Da un lato l’uomo edenico e dall’altro l’uomo storico, inconciliabili tra di loro. Tutto parte da un desiderio di autenticità. E’ questo a muovere i due giovani protagonisti, Alex e Tim, che fuggono dal mondo cosiddetto civile, quello dei farisei e dei sepolcri imbiancati, rifugiandosi dapprima nella trasgressione tipica di molti giovani dei nostri tempi: discoteca, sballo, alcool, fumo, droga, sesso smodato e notti folli.
In un secondo tempo, compresa la vanità di tali eccessi, che in fondo condividono con la boria perbenista un identico orizzonte funereo di nichilismo e di morte, i due decidono di soddisfare il loro desiderio di cose essenziali e di gioie semplici evadendo in alta montagna, fra boschi misteriosi, acque limpide e cieli tersi. Si sviluppa così un misticismo della natura che potremmo ben dire francescano, ma anche orientaleggiante, e (perché no?) precolombiano, comunque tipico di culture native, misteriche nel profondo. Ed il tutto è vissuto dai due giovani amici senza emulazioni, in maniera assolutamente originale ed autentica.
“Quel giorno sarebbe dovuto durare per sempre! Sapeva che lì sarebbe dovuto e avrebbe voluto vivere: di poco, di tutto e di niente; di se stesso soprattutto; se stesso così reale e sincero. Senza finzioni. Senza paure e costrizioni”; “Gli sarebbe piaciuto essere uno specchio, non per riflettere la sua immagine e quindi la sua parvenza, ma per vedere cosa fosse realmente lui stesso,…, quello che nessuno conosceva e che lui stesso aveva faticato a trovare ed accettare come compagno di vita”.Una voglia di Madre Natura, di Grande Spirito, di ricerca del divino, dell’universale che abita nell’uomo stesso, al di fuori di ogni credo confessionale, di ogni fede rivelata o storica.
Questa purissima sete di assoluto, questa voglia di verità somme e semplici, è fonte di immenso arricchimento interiore, almeno fin quando i due (Alex in particolare) riescono a conservare il senso tutto umano della precarietà e della limitatezza, della relatività e dell’assenza, della mancanza, da cui sorge, in fondo, la stessa spinta verso la ricerca di pienezza e di assoluto. Purtroppo accade che questi sani limiti vengano oltrepassati ed Alex precipita in uno squilibrio penoso. Vinto dalla voglia di mollare tutto per andare a vivere in quei luoghi meravigliosi, fondendosi con essi in un’ansia suprema di assoluto, smarrisce ogni buon senso e finisce nella follia.
Così quei simboli tanto amati “divennero solo una tremenda e terrorizzante visione, un bosco che, all’improvviso, non era più suo amico e che sembrava rifiutarlo”. “Per la prima volta nella sua vita, l’idea di palazzi, persone, strade, traffico e qualsiasi altro simbolo della civiltà-progresso che aveva spesso denigrato, adesso era ciò che più desiderava per cancellare una Natura invadente e sconosciuta”. Troppo tardi per rinsavire, Alex, oramai ottenebrato, finisce per essere ingoiato dalla foresta dopo avere assassinato il suo amico (il quale viene poi sbranato dai lupi). Sfuggito al caos della vita metropolitana, egli resta così invischiato nelle panie della selva incantata.
Un fato tragico. Ed è bravissimo l’autore nel dosare sapientemente i passaggi che vanno dalla nausea cittadina all’incanto montuoso, e poi dall’incanto al terrore, in una graduale trasformazione. Superbo nelle trovate e nelle invenzioni narrative, questo lavoro di grande raffinatezza psicologica e di profondità introspettiva, pone e lascia aperti interrogativi sull’ignoto invitante ed inquietante nello stesso tempo, sempre fonte di sconcerto e di attrazione. Assoluto e relativo sono mondi paralleli. Come tali vanno vissuti, e guai a trasferire il parallelo nel parallelo! Partecipareal mondo in cui si vive è pertanto indispensabile quanto sapersene estraniare al momento opportuno. Franco Campegiani
Manuel Chiacchiararelli, da poderoso funambolo delle parole, inizia il suo romanzo “Lo sguardo dei faggi”, conducendo con la compagna danese Christina un dialogo sulla superficialità del protagonista che si potrebbe definire addirittura un ossimoro letterario in relazione a quello che, nel corso del testo, si rivela essere il carattere di Alex. Il giovane, infatti conduce con la compagna una disamina circa la necessità di basare il rapporto d’amore sulla reciproca condizione d’appagamento. Una vita a misura del respiro dell’altro e non un respiro a misura della vita. L’altra metà da trovare nell’esistenza non è semplicemente una donna, ma innanzitutto se stesso. Occorre dar vita alla parte sconosciuta di sé per poter finalmente incontrare l’altra. Solo allora non potrà esserci nulla di più appagante del condividere la vita. Però bisogna averne una. Una vita viva!
Alex asserisce che per trovarsi sulla lunghezza d’onda di Christina ha bisogno di sperimentare ancora e in modo assoluto, totalizzante il senso effettivo della Natura, ovvero l’intimità diretta, sentita con i luoghi più remoti di essa, verificando quanto l’esperienza di contemplazione, di fusione con la Natura sia la sostanza costitutiva, il modo di essere primitivo e permanente di uomini e cose. Arricchisce e dà senso all’umano sapere ed è l’energia operante nell’universo in grado di produrre, conservare e distruggere.
La storia di Alex, oggi vicino ai trentacinque anni, è complessa e intrigante. Da giovanissimo è stato coinvolto in una vita di divertimenti, sballi ed esperienze estreme, come moltissimi suoi coetanei. Notti dedicate al bere, agli spinelli, alle donne… Nato a Roma, a soli vent’anni mostra i lati particolari della sua indole, infatti decide di trasferirsi sulle “sue montagne”, le Dolomiti, e questa scelta potrebbe definirsi “porta itineris dicitur longissima esse”, la porta è la parte più lunga del viaggio, ovvero il primo passo costituisce sempre il più difficile da compiere. Infatti è sui suoi monti che il giovane protagonista del romanzo viene coinvolto dall’animismo, che diventa la corrente emotiva che lo pervaderà per tutta la giovane vita.
L’animismo è tipico delle religioni primitive, rappresenta la tendenza a credere che tutte le cose siano animate da spiriti benefici e malefici, superiori all’uomo. E, nell’avvincente romanzo, l’animo problematico e contorto del protagonista prede spunto da una breve vacanza nella città natale, Roma, e da una notte come tante con gli amici, che “tirano a far tardi” bevendo e impasticcandosi, per decidere di punto in bianco di accogliere la proposta dell’amico di sempre, compagno di avventure dai tempi delle scuole medie, di partire nel pieno della notte alla volta di Cunato, un luogo di montagna dove hanno entrambi il ricordo delle gite scolastiche e di altri viaggi per fuggire dal quotidiano.
Tim, l’amico del cuore, è vicino e al tempo stesso lontano dalla visione dell’esistenza di Alex. Condivide il timore per l’asettica dimensione dell’uomo nel suo esistere sulla terra e il desiderio, o per meglio dire, l’esigenza di tornare a sentirsi parte della physis (Natura). Ma il naturalismo di Tim è senz’altro più estremo di quello dell’amico, in quanto si basa sulla convinzione che tutto ciò che accade si spieghi esclusivamente con leggi fisiche, prescindendo da ogni trascendenza. Di Tim si potrebbe arrivare ad asserire che è in linea con il filosofo Fuerbach nell’affermare che non è Dio che crea l’uomo, ma l’uomo che crea Dio.
Il viaggio improvviso dei due giovani verso una notte e un giorno di magnifica immersione nella Natura cela, in realtà, l’essenza del romanzo, ovvero una serie di verità esoteriche, che si svelano solo in parte, lasciando il lettore nella condizione di colui che vede la storia attraverso un prisma. A seconda dell’ottica in cui si guardano le vicende si possono trarre plausibili, possibili soluzioni.
Il viaggio nella notte, in un’atmosfera tesa, diversa da quella che ha caratterizzato le loro precedenti fughe verso il luogo incontaminato, è già presagio. Entrambi i giovani hanno sempre espresso il disprezzo per la civiltà artificiale che corrompe il mondo naturale, altera gli equilibri ecologici. Si sono promessi in più circostanze di non rinunciare ai loro viaggi verso i monti, la valle, la cascata, gli alberi, a dispetto dello scorrere del tempo e delle nuove situazioni che, inevitabilmente, si troveranno a vivere.
Hanno entrambi una visione negativa del Cristianesimo, ma Tim si dimostra senza dubbi più categorico: la religione simbolizza il fanatismo ed è quindi una conseguenza dei preconcetti e delle superstizioni. Alex, risente di una formazione cattolica e non riesce a liberarsi di una sorta di visione ambivalente della religione. Nei suoi viaggi nelle zone incontaminate della terra ha imparato e interiorizzato la concezione animista dell’esistenza vicina ai culti dei nativi americani, ovvero dei Sioux, dei Cheyenne e delle altre tribù delle Grandi Pianure. E’ divenuto allievo delle loro guide spirituali, gli sciamani, intermediari con il mondo celeste e infernale, capaci di guarire le malattie, di praticare l’estasi e accompagnare le anime nel regno dei morti.
Le teorie di Alex e dell’amico Tim convergono nel considerare le divinità dei primitivi come inconsce personificazioni di forze naturali, sentite come estranee al controllo umano. E nel romanzo la permanenza dei due amici nella valle tanto amata, è contraddistinta da episodi di visioni, di momenti di estasi, di perdita delle nozioni spazio-temporali. Scambiano i sogni e le proprie immaginazioni per realtà, che vivono con timore ed entusiasmo. La forma religiosa, ambivalente, di cui il protagonista non sa e non può liberarsi, lungi dal rappresentare un cibo salutare per l’anima, si trasforma in veleno per un cervello infetto.
La follia diviene il tema dominante del tramonto e della notte nel bosco. I faggi, immensi nemici, spiano, minacciano il protagonista con i loro occhi, costituiti dai rami più deboli che , spezzandosi, hanno lasciato buchi nella corteccia.
Le metafore, le figure retoriche e le similitudini adottate dall’Autore per dare vita al bosco, alla valle, alla cascata sono di straordinaria efficacia e ci accompagnano in un percorso che si trasforma nella tela immensa di un quadro nel quale possiamo entrare e uscire di continuo, vivendo il panico, l’orrore, i brividi, la solitudine, il terrore del giovane. Di colpo la Natura-madre si trasforma in una leopardiana Natura matrigna, che induce Alex a rinnegare il naturalismo e a sognare il ritorno alla civiltà tanto ripudiata, alla sua Danimarca, nella quale si è trasferito da molti anni e soprattutto alla sua Christina. Ma l’animismo finisce sempre per avere il sopravvento.
Pur nel momento più tragico, allucinante della vicenda, Manuel Chiacchiararelli restituisce al suo protagonista la volontà di appartenenza che l’ha sempre caratterizzato. Gli consente di rendere realtà il suo folle sogno, dopo aver compiuto moltissima strada per arrivare a incontrarlo. I sogni, magici, splendidi o misteriosi che siano, hanno bisogno di sapere che si è coraggiosi. E Alex, dopo infiniti tentativi di fuga, dopo essersi porto tutte le domande e i dubbi possibili, riconosce il segno di un destino cercato e affronta con determinazione la realtà dell’impossibile.
Tragico, struggente, caratterizzato da aspetti del romanzo noir e da aspetti dell’opera esoterica, “Lo sguardo dei faggi” colpisce per l’assoluta originalità del contenuto, per il modo di procedere nella narrazione, ricco di passaggi descrittivi e di salti emozionali. Il ritmo è incalzante e, a livello stilistico l’Autore sa tenere stretti i lettori, affondando il coltello nell’essenza della storia con studiata frequenza e intensità. A mio avviso Manuel Chiacchiararelli può inserirsi nel novero dei pochi scrittori in grado di concepire Opere che esulino dagli standard cui siamo abituati, può stupire e, da vero sciamano, stregare…
Maria Rizzi