VER SACRUM – Franco Campegiani
Franco Campegiani
Ed. Tracce – Pescara 2012
La silloge poetica Ver sacrum di Franco Campegiani (Edizioni TRACCE, Pescara, 2012; con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà e riflessioni di Aldo Onorati), non fa che confermare perentoriamente la tempra morale dell’autore, innanzitutto come uomo. Vedremo più tardi, verso la conclusione del presente scritto, in che senso vada inteso tale enunciato a prima vista scontato, retorico.
È ben nota, intanto, agli estimatori di Campegiani, una notevole poesia dal titolo Il male d’oggi, inclusa nella silloge in oggetto. La poesia è stata peraltro presentata nel mio blog (all’indirizzo andreamariotti.it, agosto 2011) in considerazione della sua vibrante eticità; prendendo letteralmente di petto, detta lirica, la comunità sfibrata, lacerata degli umani “senza più coscienza delle tenebre”, in “case nere lungo i viali asfaltati/ senza più finestre”. Ciò che qualifica il discorso poetico di Franco Campegiani, qui, risulta il conseguente richiamo al “padre contadino” sul filo di una memoria civile, non gelosamente ripiegata su se stessa alla ricerca impossibile del tempo perduto. A riscontro, la chiusa de Il male d’oggi: “Quanti gridi di dolore nelle notti/ esplodevano all’alba in battiti d’ali.”; il lettore potrà osservare in questo caso la mancanza del punto esclamativo finale, in favore di una chiusa secca a fronte di una questione aperta, vale a dire la nostra solitudine d’oggi che richiama alla mente il celeberrimo dipinto di Munch, L’Urlo. Solitudine, la nostra, che non può essere facilmente esorcizzata dal canto -sia pure di denuncia- del poeta (il quale sa troppo bene di non poter rivestire i panni del mitico Anfione all’atto di compiere il miracolo delle pietre che, al suono della sua lira, si fanno architettura, fino alla costruzione delle mura tebane).
La poesia della quale ci siamo finora occupati è preceduta, nella raccolta di Campegiani, da una lirica a me particolarmente cara: Nel segreto degli abissi; giacché, in essa, ho percepito al primo impatto il caloroso abbraccio riservato a ogni lettore da parte di questo nostro poeta; sul filo di un non facile ottimismo che anzi severamente richiama, in chiusa, al principio della responsabilità personale. Ma la poesia merita a mio avviso una sia pur rapida analisi metrico- stilistica: “Risorgeremo dalla bufera cosmica”…”nel furore di rugiadose aurore”; ebbene, fermiamoci un attimo su quest’ultimo verso, per apprezzare in esso una rima modernamente intra-verso (“furore-aurore”) che è anche una potente allitterazione, all’interno della quale si intromette la parola “rugiadose”, assonanzata sia con “furore” sia con “aurore”. Ecco come lo stile si fa bellezza, agli occhi del lettore, per così dire in progress: nel contesto, tramite una contrazione, sul piano espressivo, della nostra non facile e cosmica rinascita. La poesia in questione, effettivamente, se da una parte risulta un pregevole esempio di versificazione fluida e generosa frequentissima in Campegiani, è nel contempo un gioiello di stile asciutto e serrato, com’è possibile percepire nella sequenza di tre settenari consecutivi verso la fine del testo: “e i mari imputridiscono/ e si snervano i cieli/ ai lampi nucleari”; impossibile non cogliere, qui, la tensione cosmica tra Caos e Ordine che si condensa stilisticamente nel saettante incalzare di versi brevi come sospesi fra terra e cielo. Diverse sono le poesie incluse in Ver sacrum che meriterebbero uno specifico apprezzamento, oltre a quelle finora evidenziate; ma, a pensarci bene, mi preme qui parlare di una lirica della raccolta a parer mio particolarmente toccante, soprattutto per la “tonalità minore” – volendoci esprimere in termini musicali- scelta in questo caso da un poeta, Campegiani, incline per istinto a un più squillante e potente “do maggiore”: Amarti è perderti, il titolo della poesia cui sto accennando. Ora, all’altezza della prima strofe di essa, sembrerebbe inverarsi una volta di più l’intonazione calorosa, sanguigna del nostro poeta; ma ecco subito dopo: “Legarsi e sciogliersi/ questo è il gioco dell’amore. / Amarti è perderti,/ è scoprirti tua, non mia”…”E resto qui, chiuso nel giro/ delle mie ossa..”.
Ascoltatore appassionato della musica di Mozart, confesserò che non ho potuto non ripensare, colpito dai versi appena citati, all’andante in do minore della Sinfonia Concertante K 364 per violino viola e orchestra del genio di Salisburgo; andante inaspettato e cupo che trafigge il cuore, dopo il primo movimento di scintillante pienezza. E comunque, risulterà difficile non avvertire, nei suddetti versi di Franco Campegiani, un tono più sommesso e forse più intimamente poetico in merito alla declinazione di quei contrari la cui teoria costituisce il vero e proprio perno del suo pensiero filosofico. “Pulvis et umbra sumus”, ci ricorda Orazio (Odi, IV, 7,16); e, dunque, impotenti siamo “di fronte all’amore/ che trascende i confini”, per citare ancora i versi di Franco Campegiani. Davvero una poesia come questa va letta nel silenzio, per poter distinguere l’effrazione, in un poeta che a torto pretenderemmo di aver criticamente inquadrato una volta per tutte.
Volendo a questo punto fare un bilancio critico della silloge Ver sacrum, non posso che trovarmi d’accordo con quanto scrive in prefazione del libro Ninnj Di Stefano Busà, circa la “tensione etica” alla base della poesia di Campegiani; una poesia, aggiungerei, di grande forza comunicativa, mai criptica, vibrante d’umano calore e semanticamente robusta: in virtù, evidentemente, dell’incessante capacità di riflessione del suo autore, poeta e filosofo ad un tempo. E veniamo adesso a quanto avevamo lasciato in sospeso, all’inizio di questo scritto, a proposito della tempra morale dell’uomo -Franco Campegiani- prima ancora che del poeta; e lo faremo servendoci di un illuminante pensiero di Blaise Pascal: “Quando s’incontra lo stile naturale, si resta stupiti e rapiti, perché dove ci si aspettava di vedere un autore si trova un uomo” (Pascal, Pensées, sez.I, n.29 dell’edizione Brunschvigg). Con questo stupendo enunciato del grande pensatore francese prendiamo congedo dalla poesia di Franco Campegiani, ribadendo una volta di più, da parte nostra, le ragioni di un sodalizio umano e artistico che ravvisa nella vita il modello ispirativo dell’arte, senza dogmi estetici di sorta. Andrea Mariotti